Sorelle maltrattate perché «non brave musulmane»: 5 anni a genitori e fratello

In Cassazione passa la linea tracciata dal presidente della Corte d’Assise Roberto Spanò. Una di loro fece mettere a verbale: «Mi dissero che se non avessi fatto come dicevano loro avrei fatto la fine di Sana Cheema»
La sede della Corte di Cassazione - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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In Cassazione passa la linea tracciata dal presidente della Corte d’Assise Roberto Spanò, e quindi: «I soggetti provenienti da uno Stato estero devono verificare la liceità dei propri comportamenti e la compatibilità con la legge che regola l’ordinamento italiano. L’unitarietà di quest’ultimo non consente, pur all’interno di una società multietnica quale quella attuale, la parcellizzazione in singole nicchie, impermeabili tra loro e tali da dar vita ad enclavi di impunità».

Per questo la Cassazione ha confermato la condanna a cinque anni di carcere per padre, madre e fratello - tutti con cittadinanza italiana - di quattro ragazze di origini pakistane, vittime di maltrattamenti perché ritenute dalla famiglia «non brave musulmane».

Maltrattamenti che sarebbero consistiti in schiaffi, schiaffi, pugni, tirate di capelli «perché le figlie rifiutavano di studiare ogni giorno le sure del Corano, per obbligarle a indossare abiti tradizionali della cultura pakistana» come riportato agli atti. La più grande delle sorelle fece mettere a verbale: «In famiglia mi dissero che se non avessi fatto come dicevano loro avrei fatto la fine di Sana Cheema, la ragazza uccisa in Pakistan per aver detto no al matrimonio combinato». Dopo la sentenza definitiva l’avvocato Beatrice Ferrari, legale delle sorelle commenta: «Si conclude oggi una battaglia soprattutto culturale che porta in auge l'affermazione dei diritti umani che dovrebbero essere garantiti in ogni parte del mondo».

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