San Paolo, raccolta di firme contro il Centro di accoglienza
La notizia dell’apertura di un Centro di accoglienza straordinaria a Cremezzano ha mobilitato l’intera comunità. Il Cas, che dovrebbe sorgere in via XXV Aprile e ospitare circa 40 migranti (ma il cui progetto nato come casa vacanze potrebbe essere allargato fino a 71 ospiti) ha generato dissenso tra gli abitanti, dando il via a una raccolta firme in senso contrario. L’iniziativa è sostenuta anche dall’Amministrazione comunale, guidata da Alberto Pedretti.
«Siamo contrari all’apertura del Cas», ha dichiarato il sindaco, spiegando le motivazioni della raccolta firme. «In collaborazione con i cittadini, stiamo facendo di tutto per evitare che il centro venga collocato nel cuore della frazione, davanti alla chiesa e all’oratorio. Inoltre, nei pressi della struttura ci sono alloggi comunali e case popolari che accolgono diverse etnie già con un equilibrio precario, visti gli interventi della Polizia locale e dei carabinieri abbastanza frequenti, oltre alla fermata bus per i ragazzi.
L’Amministrazione si sta muovendo sia per vie istituzionali, mantenendo il dialogo con la Prefettura, sia sostenendo direttamente la protesta cittadina». Nonostante i vari incontri con le autorità prefettizie, al momento però il sindaco dichiara che non c’è alcuna conferma ufficiale sulla tanto discussa apertura. «Ad oggi non abbiamo ricevuto nessuna comunicazione formale dalla Prefettura che certifichi questa decisione» ha concluso Pedretti, ribadendo l’intenzione di continuare a boicottare il progetto.
Difendere l’equilibrio
Intanto, il clima a Cremezzano resta teso, con gli abitanti determinati a difendere quelli che considerano l’equilibrio e l’identità del territorio. «Cremezzano è un borgo di 300 anime – ha commentato Alice Lavini, esponente dei cittadini – di cui 50 persone immigrate e integrate nella popolazione, composta soprattutto da gente fragile, anziani e bambini. Siamo spaventati: rischiamo un’invasione, seppur pacifica, che potrebbe stravolgere le nostre vite. Arriveranno persone senza occupazione, di etnie diverse, che non parlano la nostra lingua: fatico a vedere un’integrazione spontanea, vorremmo quantomeno ci fosse un mediatore culturale di assistenza per garantire che i soggetti - arrivati dopo viaggi costati traumi indicibili, che non tutti sopportano a livello psicologico - non rischino crolli che possono portare anche ad atti di violenza.
La prima stazione di intervento delle forze dell’ordine dista 10 chilometri, saremmo abbandonati a noi stessi. Abbiamo avuto esempi non troppo distanti da noi (il riferimento è a Collio, ndr) dove una bambina invece di trovare una vita migliore ha incontrato il disastro più grosso che le potesse capitare. Se questo è il tipo di accoglienza che vuole impostare questa struttura, diciamo no. Non se lo meritano loro, ma nemmeno noi, e questa raccolta firme potrà fare rumore e attirare l’attenzione su questa problematica».
Della stessa idea è Gisella Maccagnola, anch’essa residente a Cremezzano. «Ci sentiamo impotenti. Per risolvere un problema si rischia di crearne altri. Siamo spettatori inermi in balia di uno Stato che potrebbe gestire la cosa in maniera differente e in sinergia col Comune stesso».
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