Salò, «Il terremoto fu un banco di prova per nuove idee di ricostruzione»
Nei giorni successivi al sisma in tanti avevano fiutato il pericolo che si celava dietro il terremoto di Salò, pesante ma non assassino, senza morti. Il pericolo di essere dimenticati, scordati dalle istituzioni. Così non è stato. Anzi. La complessa opera di ricostruzione avvenuta tra Garda e Valsabbia è stata presa a modello. Per Silvio Lauro, funzionario regionale e «soggetto attuatore» della ricostruzione, «la selezione dei criteri attuativi è stata il punto di forza della strategia della ricostruzione: la definizione della priorità, le percentuali di contributo (100% agli edifici pubblici, 80% alle prime case, 70% agli edifici ecclesiastici), la scelta del miglioramento strutturale del patrimonio edilizio almeno del 50%».
A ricostruzione avanzata, l’allora capo della Protezione Civile, Guido Bertolaso, aveva detto: «Qui è stato fatto un lavoro esemplare: a confronto di quanto successo altrove in situazioni analoghe, la Lombardia e i bresciani hanno dato ancora una volta un segnale di grande efficienza».
L’incontro
Gli «Approcci innovativi nella riqualificazione del patrimonio costruito», che si rilevarono vincenti allora, sono stati il tema del convegno di studi promosso ieri da Comune e Ordine degli ingegneri di Brescia, con la sessione mattutina dedicata agli aspetti di natura architettonica e quella pomeridiana alle questioni ingegneristiche e strutturali. Per Fausto Minelli, ordinario di Tecnica delle costruzioni all’Università degli Studi di Brescia, è stata un’occasione preziosa per «parlare di prevenzione sismica e conoscere i grandi sviluppi registrati in questo campo negli ultimi vent’anni».
Il convegno ha chiamato a Salò i massimi esperti di ingegneria sismica in Italia, tra cui Mauro Dolce di ReLuis, che ha parlato di prevenzione: «Gli effetti dei terremoti – ha detto – non si possono azzerare, quindi dobbiamo lavorare per ridurli, tramite la prevenzione. Farla con gli interventi strutturali prevede tempi lunghi e costi enormi – servirebbero ben più di mille miliardi per intervenire su tutti gli edifici italiani non a norma –, quindi occorre fare prevenzione non strutturale, aumentando la consapevolezza delle persone sul rischio sismico, aumentare la capacità di risposta e la resilienza delle comunità».
Gian Michele Calvi, IUS Pavia, ha ricordato gli scienziati, definendoli «geni», che ci hanno fornito gli strumenti per ridurre la vulnerabilità e il rischio nelle strutture. Strumenti non sempre sfruttati a dovere, puntualizza Calvi con un pizzico di amarezza: «Tante cose che abbiamo imparato in questi anni non sono state sfruttate del tutto». Giovanni Plizzari, ordinario di Unibs: «L’università ha il compito di formare e fare ricerca. Ma ha una terza missione, divulgare le conoscenze al territorio».
Le chiese
Il prof. Ezio Giuriani ha invece ripercorso gli interventi di rinforzo sismico attuati sulle chiese (furono 315 gli edifici ecclesiastici danneggiati). A tal proposito ricordiamo quanto scritto da monsignor Francesco Andreis nel bollettino parrocchiale del dicembre 2004: «Grazie, Signore, del terremoto! La beatitudine, preghiera di Francesco d’Assisi, può diventare nostra preghiera e questo tempo di prova non sarà da ricordare solo per il disagio, per i furbi e per gli “sciacalli”, ma soprattutto per i molti gesti di carità, di donazione eroica, di servizio al prossimo». //
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