Strage di piazza Loggia, chiesti trent’anni per Marco Toffaloni

Trent’anni di carcere. A tanto, per il sostituto procuratore Caty Bressanelli, deve essere condannato Marco Toffaloni, il neofascista veronese, non ancora diciassettenne all’epoca dei fatti, accusato della fase esecutiva della strage di piazza della Loggia. Di più, anche avesse ritenuto giusto farlo, il pubblico ministero non avrebbe potuto chiedere. La giustizia penale minorile non prevede la pena dell’ergastolo per i minori anche se il minore, come nel caso di Toffaloni è prossimo al 68esimo anno di età.
Le ragioni
Per la titolare dell’inchiesta sull’ultimo miglio compiuto dalla bomba che il 28 maggio del 1974 uccise otto persone e ne ferì altre 102, contro il veronese che si è rifatto una vita e un’identità in Svizzera, che dopo avere sposato una cittadina elvetica da anni si chiama Franco Maria Muller e che, anche in caso di condanna, non sarà estradato dalle autorità della Confederazione (come le stesse hanno fatto sapere non più tardi del novembre scorso negando l’accompagnamento coattivo) ci sono diversi elementi di prova. E la loro visione d’insieme porta ad un unico risultato: la condanna.
Contro Marco Toffaloni, frequentatore degli ambienti ordinovisti tanto quanto Ordine Nuovo era ancora tollerato dalla legge, quanto dopo essere finito fuori gioco per legge, per la pm ci sono innanzitutto le parole di Gianpaolo Stimamiglio, ordinovista della prima ora che disse di averlo incontrato in un hotel a Peschiera alla fine degli anni ’80 e di aver raccolto da lui dichiarazioni dal sapore di ammissione. «Mi disse che a Brescia – ha ribadito in aula il pentito – c’era anche lui. Mi disse “gh’ero anche mi” e se c’era non era certo per turismo».
La foto
Sul conto di Toffaloni la procura ha inoltre un’immagine scattata in piazza Loggia quella mattina. Sottoposta a perizia quella foto conferma le parole di Stimamiglio, peraltro successive al ritrovamento del reperto negli sterminati archivi fotografici.
A parlare del neofascista veronese è inoltre Ombretta Giacomazzi, la teste chiave dell’inchiesta, all’epoca dei fatti fidanzata di Silvio Ferrari, il giovane neofascista bresciano saltato per aria con la sua vespa in piazza del Mercato nove giorni prima della strage. Giacomazzi in aula ha detto di aver accompagnato Ferrari nelle sue trasferte a Verona, nei quartieri generali di Nato e Servizi Segreti, cui l’attentato è legato a doppia mandata, e proprio qui di aver incontrato anche Toffaloni. Del veronese la testimone ha ricordato anche un episodio bresciano: un acceso litigio proprio con Silvio Ferrari, probabilmente per il rifiuto di quest’ultimo di eseguire un ordine, un piano deciso da tempo.
La difesa
Secondo il difensore di Marco Toffaloni l'architrave dell’accusa non regge. Non sono credibili né Gianpaolo Stimamiglio, né Ombretta Giacomazzi e sull’efficacia della perizia antropometrica non si possono non avere dubbi. Alla luce delle sue considerazioni l’avvocato Marco Gallina, oltre ad una valutazione sulla sua personalità, ha chiesto ai giudici l’assoluzione del suo assistito.
La sentenza
Dopo aver registrato l’intervento della difesa il presidente Federico Allegri ha aggiornato il processo al 3 aprile per le repliche, la camera di consiglio e la sentenza.
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