Omicidio di Calcinatello, la barista: «Ho visto le coltellate»

In aula sono stati ricostruiti gli episodi violenti tra Petrit Gega e la famiglia di Alfons Kola, ucciso il 31 maggio 2023
  • Il luogo in cui è avvenuta la lite a Calcinato
    Il luogo in cui è avvenuto l'accoltellamento a Calcinatello - Foto Gabriele Strada /Neg © www.giornaledibrescia.it
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    Il luogo in cui è avvenuto l'accoltellamento a Calcinatello - Foto Gabriele Strada /Neg © www.giornaledibrescia.it
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Petrit Gega era conosciuto – sia nella zona dell’Albania di cui era originario, sia tra gli albanesi che abitano a Calcinato e Calcinatello – come un soggetto aggressivo e violento, soprattutto quando era sotto l’effetto dell’alcol. Ma, da quando si trova in carcere e quindi ha smesso di bere, non ha più sentito «le voci» di cui aveva parlato al momento dell’arresto.

Prosegue davanti alla Corte di Assise di Brescia il processo a carico del 53enne albanese Petrit Gega per l’omicidio del 33enne Alfons Kola avvenuto il 31 maggio 2023 davanti ad un bar di Calcinatello. Un delitto che l’imputato, bloccato e interrogato subito dopo i fatti, aveva giustificato dicendo di sentire le voci di spiriti che gli avevano ordinato di colpire mentre per la Procura si tratterebbe di regolamenti di conti tra famiglie per vecchie questioni in patria.

Il profilo psichiatrico

Proprio sul tema delle «voci» è stata sentita in aula, come testimone della Procura, la dottoressa Valentina Stanga, psichiatra, che ha spiegato come «Gega da quando è in carcere non assume più alcol e mi ha riferito di non sentire più le voci. Sta comunque seguendo scrupolosamente la terapia farmacologica. Rispetto al passato mi ha spiegato che anche prima di venire in Italia aveva questi contatti con gli spiriti e che era stato anche da un prete ma che non lo aveva aiutato».

Dal punto di vista medico a Petrit Gega è stata diagnosticata una Psicosi Nas, cioè un disturbo aggressivo della personalità non altrimenti specificato.

In tribunale

In aula poi è stata sentita anche la 34enne cubana che lavora come barista nel locale davanti al quale si è consumato l’omicidio. «Conoscevo solo Fonzie (il sorpannome di Alfons Kola) che era un cliente fisso del bar. Quel pomeriggio faceva già caldo e le porte erano aperte, ho sentito urlare e sono uscita. Ho visto Fonzie che scappava e quel signore, che non avevo mai visto prima, e quando lo ha raggiunto dietro una macchina lo ha colpito con il coltello. Poi lui è scappato, aveva la guancia sporca di sangue ma non so di chi fosse e Fonzie si è accasciato».

Nel corso dell’udienza di ieri mattina è stato ascoltato anche un amico della vittima che ha spiegato come «tra gli albanesi della nostra zona Gega è conosciuto come un tipo violento e aggressivo, uno da cui ho sempre voluto stare alla larga», e poi il fratello di Alfons Kola. Questi ha spiegato che «in Albania Gega aveva già sparato contro un nostro cugino e aveva colpito con il calcio della pistola in testa un altro membro della nostra famiglia. Un mese prima che fosse ucciso a mio fratello è stato sfondato il vetro dell’auto con una mazza».

Gli altri testimoni

In difesa dell’imputato ha parlato la moglie che ha spiegato come il marito avesse da diversi anni problemi con l’alcol ma soprattutto confermando che era in contatto «con voci e spiriti» e che in Albania si era anche «sottoposto ad un esorcismo».

Il processo prosegue ora con l’udienza fissata il 24 marzo in cui saranno sentiti i consulenti della Procura e poi il 17 aprile quando saranno ascoltati invece i testimoni richiesti dagli avvocati Gianfranco e Federico Abate che assistono l’imputato.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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