Più della metà delle detenute è stata vittima di violenza

Paola Gregorio
I dati sono emersi durante l’incontro «Essere donne in carcere», in cui si è parlato anche di famiglia e maternità, e dell’importanza del percorso di reinserimento che si fa a Verziano
Lo scatto realizzato negli anni scorsi da una detenuta a Verziano che ha partecipato a un corso di fotografia © www.giornaledibrescia.it
Lo scatto realizzato negli anni scorsi da una detenuta a Verziano che ha partecipato a un corso di fotografia © www.giornaledibrescia.it
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«Verziano è una casa di reclusione mista. La sezione femminile ha 35 detenute su cinquanta posti. A Canton Mombello i detenuti sono 368. La detenzione femminile a Brescia non è caratterizzata da sovraffollamento come avviene per quella maschile. E questo dice della minore propensione delle donne alla commissione di reati». Così Francesca Paola Lucrezi, direttrice della Casa di reclusione di Verziano, che ha una sezione femminile, ospite dell’incontro «Essere donne in carcere» organizzato alla Fondazione Ds di via Metastasio che ha cercato di rispondere ad alcune domande. È possibile rimanere se stesse in una struttura che restringe la libertà? Il carcere è un luogo per donne?

I numeri

Si parte dai dati. Più della metà delle donne in carcere (si stima tra il 50 e il 75%) è stata a sua volta vittima. Le donne sono anche madri, e la maternità vissuta da lontano incide sul loro vissuto in carcere. I due centri antiviolenza di Brescia, Casa delle donne e Butterfly, grazie ad uno specifico progetto, hanno incontrato le detenute di Verziano e si occupano di casi di violenza pregressi alla detenzione. «Sicuramente il carcere è un luogo di frattura, di separazione – ha aggiunto la Lucrezi –. Verziano nasce nel 1986 e da quel giorno le stanze di pernottamento sono sempre state aperte sia per gli uomini che  per le donne. È un istituto che si avvicina all’obiettivo del reinserimento nella società, del riaccompagnamento delle persone a riappropriarsi della propria vita. Questo non allevia la sofferenza, il vivere in una bolla spazio temporale che isola le persone dal proprio vissuto. Nel 2000 abbiamo fatto una scommessa, unire la sezione femminile e maschile in attività comuni. E ancora attraverso lo strumento del teatro abbiamo coinvolto i figli dei detenuti e delle detenute. Abbiamo pensato di creare gruppi di parola, il progetto cui partecipano anche Casa delle donne e Butterfly, dove le donne possono raccontare la loro storia. E le operatrici mi hanno raccontato che non c’è detenuta che hanno incontrato che non abbia avuto un vissuto di violenza».

«Il carcere non è un luogo per nessuno – ha esordito Luisa Ravagnani, garante dei diritti dei detenuti –. Ancor più il carcere non è un luogo per donne. La maternità vissuta da lontano agisce fortemente sui vissuti nella detenzione delle detenute. Il carcere diventa di rottura rispetto alla routine precedente. La donna è anche compagna, ha necessità di prendersi cura del suo corpo e di privacy maggiore rispetto ad un uomo. Circa il 70% delle donne in carcere ha figli minori e spesso si trova da sola a vivere la carcerazione, perché il compagno tende ad essere poco presente».

Vittime di violenza

Come detto, spesso all’origine del reato di molte detenute ci sono esperienza di violenza. «Chi sono le donne che delinquono? La criminalità femminile è molto contenuta, solo il 15% dei reati totali è compiuto da donne – ha spiegato in collegamento Claudia Pecorella, docente di Diritto Penale all’Università di Milano Bicocca –. Studi hanno fatto emergere il legame tra un vissuto di violenza e l’avvio di un percorso che spesso porta alla commissione di un reato. Le donne oggi rappresentano poco più del 4% di tutta la popolazione carceraria».

Francesca ha portato la sua esperienza da detenuta a Verziano: «È stata positiva, perché mi ha dato modo di riflettere su ciò che ho fatto. La direttrice mi ha dato la possibilità di lavorare all’esterno. Ho avuto l’opportunità di lavorare anche dentro al carcere». 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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