Per la stagione invernale manca una montagna di manodopera
Gattisti, addetti agli impianti, battitori di piste, maestri di sci, camerieri, cuochi, lavapiatti, addetti alle pulizie, baristi, commessi, un esercito di lavoratori stagionali che l’alta Valcamonica, in estate e in inverno, calamita tra Ponte di Legno, Temù, Vezza e dintorni. È così da sempre. Ma con una variabile che, dalla pandemia Covid-19 in poi, ha complicato le cose: i soldati di questo esercito sembrano essersi congedati tutti insieme e non si trovano. Non c’è più nessuno, o quasi, disposto a passare quattro mesi invernali e due estivi in montagna. E così i ristoranti degli alberghi chiudono, i bar faticano ad assecondare le richieste degli avventori e i proprietari si sobbarcano turni estenuanti.
Solo alla Sit, Società impianti turistici, c’era un giro di stagionali di un’ottantina di persone. In realtà, negli anni molti contratti si sono trasformati in tempo indeterminato, grazie al prolungamento delle attività anche in estate, a esempio per il teleriscaldamento o le manutenzioni ai parchi.
«In questi anni – racconta Mario Bezzi, presidente Sit – abbiamo aumentato la percentuale dei fissi, perché gli impianti sono sempre più tecnologici per cui, per garantirci le professionalità, abbiamo trasformato i contratti». La Sit è una delle poche realtà che riesce ancora oggi ad avere manodopera locale, per tanti «lavorare in Sit» è un privilegio e una sicurezza.
«I motivi sono diversi – spiega Bezzi –: il lavoro non è pesante, la società è solida, gli stipendi buoni e per la stagione invernale c’è un premio di quasi 400 euro al mese».
Soluzioni
Non se la passano altrettanto bene alberghi, ristoranti, bar, negozi e servizi, dove gli stagionali sono quasi impossibili da trovare. «Tutto il settore è in difficoltà – asserisce Mauro Testini, referente dell’Unione Comuni –, zero cuochi, camerieri, manutentori, operai boschivi, addetti alle pulizie. Si chiama inverno demografico: servirebbe una generazione che si rimette a fare figli o andare a cercare manodopera dove c’è ed è disponibile».
Ennio Donati, titolare dell’hotel Bellavista, propone un’altra soluzione: «Il turismo può essere fatto solo dalle persone, non dalle macchine. E le persone vanno ricompensate bene, devono avere tempo libero ed essere accolte in alloggi degni. Un rinomato hotel di Kitzbühel ha investito 22milioni per costruire case per i dipendenti e l’Austria ha varato una legge sul lavoro nel turismo stringente su orari, riposi, salario minimo. Se vogliamo che i lavoratori tornino a lavorare sulle nostre montagne servono norme in grado di agevolare tanto gli operatori stagionali, quanto i datori di lavoro, bisogna ridurre la burocrazia ed eliminare i numerosi balzelli che oggi rendono difficoltosa l’impresa turistica».
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