L’intervista al Vescovo: «Quando il Papa mi chiamò dopo il trapianto»

Monsignor Pierantonio Tremolada racconta di quando, nell’ottobre 2022, Bergoglio gli telefonò per infondergli ottimismo
L'abbraccio tra Tremolada e Bergoglio
L'abbraccio tra Tremolada e Bergoglio
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«Come stai?». Chissà quante volte il vescovo Pierantonio Tremolada se lo era sentito chiedere durante i mesi della convalescenza (dopo un trapianto di midollo) da parenti e amici. Ma nell’ottobre del 2022 la voce che aveva pronunciato quella frase era inconfondibile: era Papa Francesco.

Monsignor Tremolada, gli ultimi mesi di vita di Papa Francesco sono stati segnati dalla sofferenza. Lei, in un momento difficile e delicato, ricevette una sua chiamata di vicinanza e sostegno.

Ricordo ancora con grandissima emozione quella telefonata, con il suo stile immediato e familiare mi chiese: come stai? Stai migliorando. Parlammo per qualche minuto e poi mi disse che mi ricordava nella preghiera, mi invitava a essere ottimista, aggiungendo «la medicina, oggi, fa grandi cose». Fu una grande sorpresa, non me lo immaginavo proprio.

Poi, fortunatamente, per lei è andato tutto bene ed è potuto tornare in Diocesi.

Sì, è andato tutto bene. La vicinanza che mi ha dimostrato è un ulteriore, personale, motivo di riconoscenza e affetto nei suoi confronti. La sua morte è stata un grandissimo dolore, ma lo penso già nella gloria del Signore e nella comunione dei santi e noi ci sentiamo profondamente uniti a tutta la Chiesa universale per ringraziare di quanto abbiamo ricevuto e della sua eredità spirituale.

Quello di Bergoglio è un pontificato che ha segnato profondamente la storia della Chiesa.

Papa Francesco, con le sue parole, le sue encicliche, i suoi tanti discorsi ufficiali, ci ha dato delle indicazioni preziose per il cammino della Chiesa, indicazioni che credo segneranno anche il futuro, a partire dall’affetto particolare per i poveri e per i più deboli, ormai una regola per la nostra Chiesa.

Gli ultimi sono stati il cuore del suo papato.

Certamente, sono il cuore della Chiesa in uscita, a lui tanto cara. Una Chiesa che non attende ma va incontro, che non si presenta mai con un volto triste, che fa sentire tutta la freschezza del Vangelo; una Chiesa dove, sono le sue parole nell’Evangelii Gaudium, «ogni cosa dovrà diventare un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione».

E poi c’è la Chiesa ospedale da campo.

Esatto, ci ha insegnato che la Chiesa deve essere, appunto, come un ospedale da campo dopo una battaglia. Una Chiesa che accoglie tutti, tutti, tutti, specialmente quelli che sono feriti, nel corpo e nello spirito; una Chiesa che è capace di fasciare le piaghe, di dare consolazione, di offrire sempre la possibilità di riscatto, nel nome del suo Signore.

Considerava san Paolo VI suo padre spirituale, cosa li univa?

In piena sintonia con san Paolo VI, il Papa che tanto amava, egli considerava l’incontro e il dialogo le grandi vie che l’umanità è chiamata a percorrere nell’edificazione della vera civiltà. Le diverse religioni, assunte dalle coscienze rette come sentieri che conducono a Dio, erano ai suoi occhi la garanzia per un mondo di giustizia e di pace.

Cosa ci lascia in eredità Francesco?

Ci lascia in dono una gigantesca eredità spirituale di cui dobbiamo fare tesoro, lo dobbiamo alla sua memoria. Vorrei ricordare un’altra espressione a lui tanto cara: siamo tutti fratelli. A questa verità che considerava essenziale aveva dedicato una lettera enciclica, nella quale aveva fatto risuonare le grandi parole della comunione che Dio da sempre desidera per i suoi figli: la fraternità, la solidarietà, l’amicizia sociale, il rispetto, la benevolenza, la gentilezza, il perdono. Parole che diventano, nella sua memoria, un impegno quotidiano per la nostra vita.

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