Omicidio di Cologne, l’imputato: «Finito il lavoro Rama è andato via»
Ha raccontato la sua giornata del 29 agosto 2022. Rispondendo alle domande del pubblico ministero, del suo avvocato e anche del presidente della Corte d'Assise. Ha dato una risposta, la sua versione, per ciascuna delle circostanze che gli vengono contestate. Soprattutto ha spiegato che quando «ho finito di controllare la sua auto, Nexhat Rama è andato via dalla mia officina». Nessun colpo di pistola, nessun trasporto del cadavere nel bagagliaio, nessun incendio appiccato per distruggere il corpo.
Nell'udienza che si è tenuta questa mattina del processo a carico di Cristiano Mossali, meccanico di Palazzolo, accusato da Carabinieri e Procura di aver ucciso Nexhat Rama per un debito da 30mila euro, è stato il giorno dell'esame dell'imputato.
I rapporti con la vittima
Il meccanico ha spiegato i suoi rapporti con la vittima «compravamo e vendevamo macchine, senza fatture» e anche di averlo coinvolto in un giro di fatture false: «Gli venivano fatti dei bonifici che poi lui restituiva in contanti tenendo una quota. Io tenevo un ulteriore 2%». Rispetto al periodo a ridosso della morte del 40enne kosovaro ha ribadito che «qualche giorno prima mi aveva detto che aveva paura che gli avrebbero sparato» e che spiegato che lo temeva in relazione «alla discussione avuta con un imprenditore per conto del quale aveva fatto minacce e intimidazioni e che aveva promesso di assumerlo per dargli la possibilità di ottenere il permesso di soggiorno ma che poi si era tirato indietro».
Entrando nel merito del debito Mossali ha spiegato che anzi «gli ho ridato i 1500 euro che aveva anticipato lui per comprare i pezzi di una macchina e gli ho anche prestato io 1500 euro che gli servivano». Rispetto invece alle dichiarazioni della moglie e del figlio, cui avrebbe chiesto di mentire ai carabinieri dichiarando che quel giorno avevano pranzato insieme ha chiarito: «Ho visto come i carabinieri hanno trattato me, come mi hanno torchiato. Ho detto a mia moglie di dire solo che eravamo tutti a casa insieme per pranzo, perché se in caserma avessero usato con loro gli stessi metodi che hanno usato con me sarebbero andati in confusione».
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