Mussolini e la Repubblica di Salò, stereotipo geografico divenuto storia

Strana sorte, quella dell’amena cittadina lacustre di Salò. È conosciuta come la capitale della Repubblica sociale italiana, quando invece non lo è stata, né ufficialmente né operativamente. Fu a Gargnano, poco più a nord, che Mussolini, appena liberato dalla prigione di Campo Imperatore, nella sua nuova veste di capo del risorto Stato fascista, si stabilì.
Nel piccolo centro lacustre, in due diverse Ville Feltrinelli collocò la sua abitazione privata e gli uffici della Presidenza del Consiglio, mentre la sede delle riunioni del Consiglio dei ministri la fissò poco lontano, a Bogliaco nel settecentesco Palazzo Bettoni. Quindi, almeno informalmente, sarebbe da considerare piuttosto Maderno la capitale della Repubblica mussoliniana. Lì il duce si stanziò e da lì non si mosse. Non si allontanò nemmeno nel novembre 1943 per partecipare alla nascita ufficiale a Verona, in Castelvecchio, dello Stato di cui pure lui era il duce.
A Gargnano rimase fino alla sua disperata fuga a Milano che precedette l’epilogo tragico della sua avventura umana e politica, consumatosi il 28 aprile 1945 a Giulino di Mezzegra, sulle sponde sempre di un lago, quello di Como.
Nonostante tutto, la Repubblica di Mussolini resta la Repubblica di Salò. Si dimentica che tale denominazione è sorta solo accidentalmente. Nella Magnifica Patria, con la nascita del nuovo Stato, si era trasferita l’agenzia di stampa ufficiale del regime, la Stefani, i cui dispacci recavano il nome della località gardesana. Per questo motivo estrinseco Salò venne associata allo Stato appena sorto.
Quando Mussolini il 25 settembre del 1943 mise piede a Villa Feltrinelli, lo Stato repubblicano fascista (questo il suo nome originario) era già sorto. Il suo insediamento sulle sponde del Benaco non era stato deciso perché questa fosse una roccaforte del fascismo. La scelta era dovuta ad altri motivi. Innanzitutto, Gargnano era a un passo dal confine (ridefinito dopo l’8 settembre del 1943) col Reich e quindi costituiva la più veloce via di fuga verso la Germania.
Inoltre, la zona era ricca di ville, case di cura e di alberghi facili da sequestrare e da adibire ad alloggio dei ministri e dei vertici del regime o a sede di uffici pubblici. La vita della Rsi passò per così dire sulla testa dei salodiani, senza che essi ne fossero veramente partecipi o, tanto meno, protagonisti. Di Salò la Repubblica fascista la si può considerare, insomma, solo di nome. La Germania nazista voleva che sorgesse lì, a ridosso del suo confine, uno Stato collaborazionista che le sbrigasse la gestione del territorio.
Lo stesso Mussolini da Maderno si limitò a lanciare il famoso «Programma di Verona», la cui idea centrale era la socializzazione, una sorta di «terza via» rispetto al capitalismo e al comunismo che associasse alla gestione economica delle imprese i lavoratori. Un programma destinato a restare sulla carta.
La realtà venne imposta dalla guerra che il duce volle continuare oltre ogni ragionevole calcolo militare contro le forze soverchianti degli angloamericani. Innestò così anche una guerra civile interna. Le atrocità dell’una si sommarono alle feroci, disumane azioni dell’altra. La più infamante per i fascisti fu la persecuzione degli ebrei, dichiarati nel «Manifesto di Verona» appartenenti a «nazionalità nemica» e per questo deportati nei campi di sterminio.
Per il resto, Salò, come l’intero territorio lacustre, non divenne l’epicentro e nemmeno il teatro delle grandi nefandezze di cui si macchiò la Rsi nella caccia al partigiano. Per questo si può dire che la città di Salò sia diventato l’appellativo di una repubblica fascista nonostante tutti e tale resta nell’immaginario collettivo.
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato
@News in 5 minuti
A sera il riassunto della giornata: i fatti principali, le novità per restare aggiornati.
