Cronaca

Mons. Sembeni: «Dopo Francesco un’eredità difficile da portare avanti»

Il sacerdote bresciano, rettore del Collegio Ecclesiastico Internazionale di San Carlo Borromeo di Roma, negli ultimi anni ha lavorato a stretto contatto con Bergoglio
La salma di papa Francesco in San Pietro - Foto Ansa/Alessandro Di Meo © www.giornaledibrescia.it
La salma di papa Francesco in San Pietro - Foto Ansa/Alessandro Di Meo © www.giornaledibrescia.it
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«Ha riservato alla Chiesa tante sorprese, è stato il Pontefice della sorpresa, intesa come frutto dello Spirito. Chi verrà dopo avrà un’eredità abbastanza difficile da gestire e da portare avanti». Mons. Giulio Sembeni, rettore del Collegio Ecclesiastico Internazionale di San Carlo Borromeo di Roma, osserva con trepidazione e interesse i prossimi sviluppi nel Vaticano dopo la scomparsa di papa Francesco. Il sacerdote bresciano, che negli ultimi anni ha lavorato a stretto contatto con Bergoglio, ne ricorda nitidamente il primo incontro quando era addetto alla sezione Affari generali della Segreteria di Stato.

«Il primo incontro è stato il 12 aprile del 2013, un mese dopo la sua elezione. Venne in Segreteria di Stato per incontrare tutto il personale. Lo ricordo bene perché era il giorno del mio compleanno e del mio onomastico. Quando lo salutai gli dissi: "Non potevo ricevere regalo migliore nel giorno del mio 52esimo compleanno". Alla notizia fece una risata fragorosa, alla quale seguì una battuta in spagnolo. È stato un uomo che durante tutto il suo pontificato ha sempre cercato l’incontro con la persona, cercando di capire necessità e bisogni. Si è sempre impegnato per andare verso l’altro quasi mettendo in secondo piano se stesso».

Mons. Sembeni - © www.giornaledibrescia.it
Mons. Sembeni - © www.giornaledibrescia.it

L’ha incontrato altre volte?

«Di incontri ce ne sono stati diversi, soprattutto quando ero economo della Pontificia biblioteca ecclesiastica. Una volta all’anno veniva a trovarci per incontrare gli studenti e in quelle occasioni più volte ho avuto modo di pranzare e di pregare con lui. Ed è in quelle occasioni che mi sono reso conto della sua capacità: in tante risposte si dimostrava un fine diplomatico, per lo stile col quale affrontava le questioni c’è molto da imparare».

Quali impressioni ebbe quando fu eletto?

«Nutrivo profonda amarezza e tristezza per la rinuncia di Benedetto XVI. Ma avevo anche aspettative. Quella sera del 13 marzo del 2013 mi trovavo sulla terrazza della terza loggia della Segreteria di Stato. C’era la sensazione che sarebbe stato quello il giorno della nuntio vobis. Dunque ho preferito scendere in mezzo alla gente dalla piazza ho sentito l’annuncio. È stata per tutti, anche per me, una sorpresa la scelta del nome. Da subito è stata abbastanza chiara la figura di questo cardinale argentino».

Si aspettava questo epilogo repentino?

«Quando Francesco fu ricoverato per la polmonite bilaterale ho sempre avuto la percezione che ce l’avrebbe fatta. Era un uomo forte, per volontà e fisico. In quei giorni l’ho accompagnato nella preghiera durante un viaggio ad Assisi, soffermandomi proprio sulla tomba di San Francesco. E ho anche avuto modo di fargli avere questa notizia tramite uno dei suoi segretari particolari. Poi il prolungarsi della situazione precaria ha cambiato tutto ma, anche se si vedeva la fatica del pontefice anche nelle ore precedenti, devo dire che sono stato colto di sorpresa».

La vera sfida per la Chiesa è ora il futuro.

«Per il successore sarà molto difficile. Però mi preme dire una cosa: nonostante papa Bergoglio abbia avuto un’apertura nei confronti del mondo non sempre il suo magistero è stato valorizzato nella sua vera profondità. Su questo occorre riflettere».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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