Prete arrestato, il vescovo: «Quando qualcuno sbaglia è un colpo al cuore»
Una condotta retta e onesta, una testimonianza al mondo dell’amore di Dio. E ancora: essere vigilanti, sempre. Nella messa crismale del Giovedì santo si ricorda l’istituzione del sacerdozio fatta da Gesù, in tutte le diocesi la celebrazione guidata dal vescovo riunisce tutti i preti diocesani.
Ascoltando le parole di monsignor Pierantonio Tremolada era impossibile non pensare all’arresto di don Ciro Panigara, accusato di reati gravissimi contro minori. Il vescovo non lo ha mai citato, ma le sue parole, il tono particolarmente sofferto della sua voce erano un chiaro rimando alla vicenda.
«Quando qualcuno sbaglia è un colpo al cuore, dobbiamo dare tutta la nostra solidarietà a chi è colpito – ha detto il vescovo –. In questi momenti percepiamo la distanza tra la nostra vocazione e la testimonianza cui siamo chiamati».
Ha proseguito: «La nostra debolezza non può giustificare ingiustizia, dobbiamo essere sempre vigilanti. Ci è chiesto un combattimento spirituale per non cadere nelle tenebre». E ancora: «Dobbiamo avere rispetto assoluto per la dignità delle persone, la nostra sia una condotta libera da ogni interesse, dobbiamo generare felicità in chi incontriamo».
L’arcivescovo di Milano
«La nostra Chiesa è ferita, il nostro presbiterio è ferito. Il comportamento scandaloso di alcuni di noi preti diventa una ferita per tutto il presbiterio, e tutti ne siamo umiliati e in qualche modo avvertiamo che è incrinata la fiducia verso tutti noi».
Sono le parole pronunciate dall'arcivescovo di Milano Mario Delpini durante la messa crismale nel Duomo del capoluogo lombardo. Parole che fanno direttamente riferimento al caso dell’ex parroco di San Paolo.
L’omelia completa
Di seguito riportiamo il testo integrale dell’omelia del vescovo Tremolada.
«Carissimi confratelli vescovi, presbiteri e diaconi,
è sempre consolante ritrovarsi insieme nella nostra Chiesa cattedrale e vivere questo momento solenne della celebrazione eucaristica con la consacrazione degli oli santi, nella quale ricorderemo anche gli anniversari di ordinazione di alcuni nostri confratelli. È l’occasione per rinnovare da parte di tutti noi l’impegno di fedeltà alla vocazione che abbiamo ricevuto e che ci ha posti all’interno del popolo di Dio come servitori di Cristo e amministratori dei misteri di Dio. Il ministero ordinato è la nostra via alla santificazione. Essa conferisce il suo singolare compimento alla grazia che abbiamo ricevuto nel Battesimo, insieme con tutti i credenti in Cristo.
Stiamo vivendo l’esperienza dell’anno giubilare. Esortati da papa Francesco, desideriamo dare alla nostra testimonianza una particolare intensità, per presentarci al mondo come pellegrini di speranza. Abbiamo avviato in diocesi un cammino di discernimento pastorale, che prevede nel corso dell’anno giubilare una mia visita in tutte le zone pastorali e che culminerà nel Convegno diocesano fissato per il mese di aprile del prossimo anno. Vogliamo cogliere l’occasione del Giubileo per metterci in ascolto dello Spirito e cercare di comprendere meglio, nello stile della sinodalità, ciò che il Signore domanda alla nostra Chiesa per il presente e per il futuro.
Il Giubileo è l’anno di grazia del Signore, il tempo in cui far sentire a tutti in modo ancora più intenso l’infinita misericordia di Dio e il suo desiderio di salvezza per l’umanità. Presentandosi all’inizio della sua vita pubblica nella sinagoga di Nazareth, Gesù legge il passo del profeta Isaia che suona così: “Lo Spirito del Signore è sopra di me, per questo mi ha consacrato con l’unzione. Mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai poveri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a proclamare l’anno di Grazia del Signore” (Lc 4,18-19). Chiuso il rotolo, egli si rivolge a chi lo ascolta e dice: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”.
Questa stessa Scrittura si compie oggi anche per noi. Noi siamo questi poveri che hanno bisogno di ricevere una lieta notizia; noi siamo quelli che hanno il cuore spezzato e sentono il bisogno di una mano amorevole che fasci le ferite; noi sappiamo, insieme con tutti, quanto sia facile cadere prigionieri di se stessi e perdere così la propria libertà.
A noi, ancora oggi, viene predicato l’anno di grazia del Signore, per noi risuona l’annuncio di un amore fedele che viene dall’alto, che custodisce e guarisce, che corregge e consola.
Noi tutti viviamo della grazia di Dio, abbiamo bisogno della sua forza, del suo sostegno, del suo perdono. “Buono e pietoso è il Signore – dice il Salmo – lento all’ira e grande nell’amore”. E continua: “Come il cielo è alto sopra la terra, così è grande la sua misericordia su quelli che lo temono; come dista l’Oriente dall’Occidente, così allontana da noi le nostre colpe; come un padre ha pietà dei suoi figli, così il Signore ha pietà di quelli che lo temono” (Sal 103).
L’esperienza della grazia di Dio ci domanda anzitutto di essere umili, di non contare su noi stessi, di non fare della nostra persona il centro della nostra vita. Siamo chiamati anzitutto a riconoscerci fragili, a leggere con verità la nostra storia, a vedere i segni della bontà di Dio a fronte della nostra incerta fedeltà.
San Paolo lo dice bene di se stesso, lui così grande nella sua testimonianza. Nella prima lettera a Timoteo scrive: “Rendo grazie a colui che mi ha reso forte, Cristo Gesù Signore nostro, che mi ha giudicato degno di fiducia mettendo al suo servizio me, che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia”.
E prosegue: “Questa parola è degna di essere accolta da tutti: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io” (1Tim 1,12-14).
Già nella prima Lettera ai Corinzi l’apostolo aveva scritto: “Io sono il più piccolo degli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo. Per grazia di Dio, però, sono quello che sono” (1Cor 15,9-10).
Quest’ultima frase vale a maggior ragione per noi. Noi siamo ciò che siamo – cioè ministri di Cristo – per grazia di Dio, senza merito, per gratuita benevolenza e nella piena consapevolezza del nostro limite. Siamo come tutti esposti al fascino del male e alla sua seduzione, ma confidiamo in una potenza d’amore che ci accompagna e ci custodisce, quella del Cristo risorto.
Noi viviamo in uno stato di costante conversione, perché la grazia che ci ha accolti non tollera il male ed è principio in noi di perenne rigenerazione. Quando qualcuno di noi sbaglia e tutti sentiamo un colpo al cuore, quando un dolore profondo ci prende e vorremmo gridare a chi è stato ferito tutta la nostra solidarietà e il nostro affetto, ci rendiamo conto della distanza che può intercorrere tra la nostra vocazione e la nostra testimonianza, tra ciò che siamo chiamati ad essere e ciò che ci potrebbe accadere.
Abbiamo bisogno della grazia di Dio, della sua forza e del suo perdono. La nostra debolezza non può giustificare la nostra ingiustizia e per questo dobbiamo affidarci costantemente alla potenza di Dio ed essere vigilanti. Egli solo sa trasformare la nostra povertà in vera ricchezza, rendendo sempre onore alla verità.
Siamo stati investiti dalla luce del Cristo risorto, ma la nostra libertà può ancora lasciare spazio alle tenebre e rendere oscura la nostra esistenza.
Siamo esortati come tutti a compiere quel combattimento spirituale che ci permetterà di crescere, giorno dopo giorno, verso la piena misura di Cristo, per la potenza del suo Spirito.
Una condotta retta e onesta è la prima testimonianza che dobbiamo al mondo e ai nostri fratelli e sorelle nella fede. La trasparenza del bene, la carità che non fa nessun male al prossimo, un rispetto assoluto della dignità di ogni persona, il desiderio sincero di vedere felice ognuno che incontriamo: questo si attende il Signore da noi, che siamo stati costituiti senza merito suoi ambasciatori.
Ci siamo posti alla scuola del grande pastore che ha offerto se stesso per la salvezza di tutti e ha fatto della sua vita un sacrificio di lode. Così deve essere anche per noi: l’intera nostra vita deve trasformarsi in un atto di culto a Dio.
Con la nostra condotta, libera da ogni interesse e votata al servizio, onoreremo il mistero dell’Eucaristia, che abbiamo la gioia di presiedere a beneficio del popolo di Dio. “Siate santi – dice il Signore Dio già nel Libro del Levitico – perché io sono santo”. E il Signore Gesù, nel Discorso della Montagna, raccomanda ai discepoli: “Siate voi dunque perfetti, come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli”. Che santità è questa? Che tipo di perfezione? È la perfezione di Dio manifestata nella sua paternità, la perfezione della misericordia, dell’amore senza limiti, della compassione per tutti, della cura per i più deboli, del perdono per i nemici.
Se vogliamo essere ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio, se vogliamo corrispondere con verità alla chiamata che abbiamo ricevuto senza merito, facciamo di questa perfezione nell’amore il fine della nostra vita e ad essa orientiamo le azioni di ogni giorno. La dignità dell’apostolo si fonda sulla fedeltà del discepolo. Seguiamo dunque il nostro maestro e Signore sulla via che ci ha aperto: essa conduce attraverso la spogliazione della croce alla gloria della risurrezione.
Abbiamo bisogno di una conversione continua ma siamo profondamente grati per il dono che abbiamo ricevuto. Ci presenteremo al mondo come vasi di creta che tuttavia hanno un tesoro da offrire.
La grazia che il Giubileo annuncia e che è stata riversata nei nostri cuori, è certo per noi un appello all’umiltà e alla vigilanza, ma è prima di tutto la sorgente della nostra gioia e la ragione della nostra speranza».
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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