Maltrattata dall’ex in Albania: «Deve rimanere in Italia»
Il no al matrimonio che la famiglia avrebbe voluto per lei. Le nozze di nascosto con un poliziotto e il sogno che si trasforma in incubo. E ora il tribunale di Brescia che le riconosce lo status di rifugiato. Dopo la fuga dall’Albania all’Italia. È la storia di una ragazza che nelle prossime settimane compirà 28 anni.
«Voglio dire che io nel mio Paese non mi sento più sicura, non c’è nessuno che mi può proteggere né da parte della mia famiglia né da parte dello Stato. L’ho provato anche prima quando vivevo lì, non ho trovato modo» ha raccontato davanti al pubblico ministero lo scorso 22 ottobre.
Nessuna protezione
Ha lasciato l’Albania nel 2022 dopo essere scappata dal marito vittima del gioco d’azzardo e soprattutto violento nei suoi confronti. «La donna non ha mai sporto denuncia perché, dato che il marito lavorava in polizia, non aveva la sicurezza che qualcuno potesse proteggerla.
Ha chiesto un prestito ad un’amica per arrivare qui, dove tuttora vive, a Brescia. Prima di partire ha raccontato tutto alla famiglia ma il padre le ha comunicato che quella sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe potuto contattarli e che i loro rapporti si sarebbero interrotti» ha ricostruito la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale. Aggiungendo: «Teme, in caso di rimpatrio, che il marito possa farle del male e che la sua famiglia non la difenderebbe».
L'appello
La Commissione ritiene credibile la donna e conferma il quadro familiare allarmante, ma per mancanza di requisiti previsti dalla legge non riconosce lo status di rifugiato e neppure la protezione sussidiaria e quella speciale. L’appello, presentato dal suo legale l’avvocato Stefano Afrune, ribalta il verdetto. Per i giudici della terza sezione civile non far rimanere in Italia la donna vorrebbe dire violare l’articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo che sancisce «il diritto al rispetto della vita privata e familiare».
Secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, «il diritto al rispetto della vita privata – scrive il tribunale civile – include il diritto allo sviluppo e all’autonomia personale e a sviluppare relazioni con altri e con la comunità circostante». E nel caso della donna di origini albanesi residente in città «dall’anno 2023 – si legge nella sentenza – la ricorrente percepisce redditi da lavoro dipendente in forza di contratto a tempo indeterminato. La continuità e l’attualità dell’attività lavorativa evidenziano una ferma e persistente volontà di radicamento nel territorio dello Stato. Un rimpatrio pregiudicherebbe, dunque, la vita della donna».
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