In piazza a Latina contro il caporalato anche la Cgil di Brescia
Anche cento lavoratori, lavoratrici e pensionati della Cgil di Brescia hanno preso parte stamattina alla manifestazione contro il caporalato organizzata dal sindacato nazionale a Latina, nel Lazio, dopo la morte di Satnam Singh, l’operaio indiano morto a fine giugno all’ospedale San Camillo di Roma dopo aver perso un braccio in un grave incidente sul lavoro. Per la sua morte il 2 luglio è stato arrestato Antonello Lovato, datore di lavoro nell’azienda agricola dove lavorava Singh.
Il corteo, composto da funzionari, delegati e militanti del sindacato e delle federazioni di categoria (così come dalle associazioni della società civile), è partito dalle autolinee della città in direzione di piazza della Libertà, dove si sono tenuti i vari interventi conclusi da quello del segretario generale della Cgil Maurizio Landini.
Le persone «costrette a lavorare in nero in Italia sono 3 milioni. Stiamo discutendo di tutti i settori e di tutto il Paese, non solo dell’agricoltura. È ora di dire basta, è ora che i governi, le istituzioni ad ogni livello, tutti smettano di fare gli struzzi e di cancellare quelle leggi balorde che in questi anni hanno favorito questo sistema», ha detto Landini. «Il numero degli ispettori è bassissimo. Possono controllare un'azienda ogni 16 anni», ha aggiunto, sottolineando che i numeri annunciati dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni (1.600 ispettori in più) «sono tre anni che girano, non sono sufficienti perché in questi anni hanno continuato a tagliare».
Un altro grave problema sottolineato da Landini è rappresentato dalla Bossi-Fini, «una legge assurda che va cancellata». «È sotto gli occhi di tutti come si gestiscono i flussi: solo a una parte di quelli che vengono qui chiamati a lavorare viene dato il permesso di soggiorno. I dati parlano chiaro, solo al 20% viene dato il permesso di soggiorno. Vuol dire che la Bossi-Fini è una legge che crea clandestini – ha aggiunto –. Le persone vengono chiamate a lavorare, non gli viene dato il permesso e sono condannate allo sfruttamento e alla clandestinità, a condizioni di vita demenziali nelle baracche, perché mancano le case, mancano i servizi. Bisognerebbe fare una cosa molto semplice: la persona sfruttata, se denuncia il suo sfruttamento, deve avere il diritto di avere subito il permesso di soggiorno e il contratto nazionale».
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