In provincia di Brescia ci sono molte maxi strutture abbandonate

Alcuni sonnecchiano pazienti da decenni, cullati dalla speranza di vedere arrivare un operatore che scommetta su di «loro». Altri si sono persi nel limbo del silenzio e del vuoto, facendo largo a erbacce irriverenti o diventando la «tana» di qualche scorribanda. Alcuni hanno riacquisito il fascino antico dell’esplorazione «lenta», altri stanno pagando pegno per la grande cementificazione passata e si stanno (letteralmente) sbriciolando su loro stessi.
Sono i (non) luoghi della «Brescia turistica» che non c’è più, spazi o infrastrutture un tempo in voga e che ora sono in cerca d’autore. Qualcuno di questi, i più coriacei ma soprattutto i siti che hanno una storia meno recente alle spalle, a riemergere dal buco nero dell’abbandono ce la sta facendo. Accettando di riadattarsi a nuove funzioni. Dalle vecchie linee ferroviarie alle ex miniere delle nostre Valli, passando per gli impianti termali e le maxi-strutture alberghiere in voga negli anni Novanta: sono questi gli anni in cui decidere cosa salvare (e come) e quali scheletri, al contrario, verranno inevitabilmente spazzati via dai segni del tempo e dalla necessità di garantire la sicurezza per chi si trova a passeggiarci accanto.
Antichi binari
Il primo capitolo di questo strano atlante sono le «ferrovie dormienti», tanto che alcune sono state trasformate in nuove rotte ciclabili. Un caso a sé è la Palazzolo-Paratico Sarnico, tornata di moda: la linea, lunga poco più di 9,6 km, ha iniziato ad essere dismessa nel 1966, ma venne chiusa definitivamente nel 1999. Ma a riabilitarla, anche se «part-time», ci ha pensato proprio il turismo: seppure resti chiusa per l’esercizio ordinario, viene invece impiegata periodicamente per il transito dei treni storici come il Sebino Express.
Sono poche invece le tracce che disegnano il percorso della vecchia linea Castegnato-Passirano Superiore-Iseo (sono 12,3 i km dismessi): il binario è ancora rintracciabile per qualche centinaio di metri dalla ex-stazione di Iseo al sottopassaggio della linea in esercizio per Bornato, dove è usato come raccordo per il deposito locomotive e asta di manovra. Le due linee, tra il 1911 e il 1939, svolsero un servizio parallelo: i treni Brescia-Edolo seguivano il tracciato via Bornato-Calino, mentre le relazioni Brescia-Iseo continuavano a svolgersi sulla vecchia linea.
Ad andare in letargo sono stati anche i 3,8 km della ferrovia Desenzano del Garda-Sirmione-Desenzano Porto: in disuso ormai dal 1969, soppressa dal 1977, era chiamata «ferrovia Maratona». Come pure a finire su un binario morto è stata la Cremona Porta Milano-Soresina-Rovato (65 km), che collegava Cremona al lago d’Iseo: fu smantellata nel 1956.
A invocare la riapertura della stazione ferroviaria è invece il sindaco di Rezzato, Luca Reboldi, a cui non dispiacerebbe per nulla rivedere i vagoni fare tappa nel suo Comune, specie visto che i binari sono posizionati lungo la linea Milano-Venezia: il percorso originario si sviluppava su circa 26 km e traguardava a Vobarno, dove il capolinea era nei pressi delle ferriere Falk (le stazioni intermedie principali erano Prevalle, Gavardo, Tormini). Ripristinare la stazione significherebbe sgravare (e non poco) il territorio dal traffico nelle ore di punta e riannodare Rezzato, ma anche Botticino e Mazzano, alla città in modo più rapido e soprattutto più sostenibile.
Cunicoli e relax
Un esempio di rinascita sono invece le miniere, finite anche al centro di un investimento dell’assessorato all’Ambiente della Lombardia, guidato da Giorgio Maione. Due sono già state recuperate e sono accessibili da tempo: la prima è la Marzoli di Pezzaze, la seconda è la Sant’Aloisio di Collio. Altrettante sono invece quelle i cui lavori sono in dirittura d’arrivo o sono stati ultimati da poco.

Si tratta della Quattrossi di Pisogne, dove veniva estratto il carbonato ferroso (siderite): il progetto presentato prevede la realizzazione di un parco archeo-minerario con un museo annesso e con la possibilità di avventurarsi in quattro itinerari che passano accanto agli imbocchi delle gallerie, di vecchi cantieri e di scavi a cielo aperto. L’iter della miniera Petassa Costa, a Malonno, è pressoché concluso: conosciuta col nome Ferromin, il complesso minerario si trova tra la frazione Frai e il cimitero comunale. Qui il Comune vuole istituire il parco minerario con il coinvolgimento delle associazioni del territorio, oltre che diversi percorsi di visita.
Centri termali
Un ultimo filone in questo viaggio fra i non luoghi del turismo è quello dei centri termali che, a cascata, si trascinano appresso una schiera di strutture alberghiere abbandonate o in sofferenza perché «orfane» del loro core business. Boario è un po’ l’emblema di questa trama: l’hotel terme è ormai chiuso, l’ex Tenda è stato abbattuto e sarà rimpiazzato da una nuova azienda.
Ad Angolo lo stabilimento termale non è più attivo, mentre la struttura propone diverse attività e appuntamenti, in cerca di un nuovo slancio. Lieto fine negato anche per Ome: la cittadella ha ancora i cancelli chiusi e ha alle spalle una serie di bandi andati deserti. Tra i desiderata della nuova Amministrazione c’è il rilancio (in agenda sono appuntati degli incontri per provarci), ma all’orizzonte per il momento non si intravedono opportunità concrete.
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