Il teatro abbatte i pregiudizi e unisce oltre la detenzione

Barbara Fenotti
Presentati i risultati di «Fragili legami», il progetto che da 15 anni lega Dams e carcere
Coinvolti i detenuti, i familiari e gli studenti - © www.giornaledibrescia.it
Coinvolti i detenuti, i familiari e gli studenti - © www.giornaledibrescia.it
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Il teatro cura, riallaccia legami e riabilita le persone recluse. Le pratiche artistiche possono costituire uno strumento integrante del processo riabilitativo e di reinserimento nella società di una persona.

Lo si è visto bene nel corso del laboratorio continuativo di teatro sociale «Fragili legami» realizzato da una decina di studenti del Dams, formati e coordinati da Carla Coletti, che ha coinvolto 15 detenuti del carcere di Verziano. Il progetto in questione è coordinato da Carla Bino e finanziato con i fondi del 5x1000 erogati all’Università Cattolica.

Mercoledì scorso, insieme ai loro figli, anche alcuni dei detenuti e delle detenute che hanno preso parte al laboratorio erano presenti alla tavola rotonda «L’integrazione delle pratiche artistiche e performative nel trattamento rieducativo» tenutasi al Museo diocesano.

Un momento di riflessione preceduto da una parentesi più leggera, fatta di giochi, animazioni, musiche e improvvisazioni al centro del chiostro, in un clima di famiglia e di astrazione dalla vita carceraria che prevedeva un continuo mescolarsi delle persone, a dimostrazione di come a un certo punto non si potesse più distinguere la persona reclusa da quella che non lo è.

Il progetto

«"Fragili Legami", che va avanti ormai da anni, è una produzione che permette di creare all’interno del carcere un momento di evasione attraverso il teatro - ha spiegato la direttrice di Verziano e di Canton Mombello, Francesca Paola Lucrezi -. Tutto questo è stato reso possibile dalla presenza dei singoli detenuti e, negli anni, anche dei coniugi liberi che sono intervenuti nel laboratorio e hanno vissuto dei momenti diversi di ricongiungimento familiare che la reclusione, purtroppo, impedisce anche per lungo tempo».

Nato una quindicina di anni fa in collaborazione con l’Università Cattolica, il progetto costituiva una soluzione all’esigenza di andare oltre le direttive dipartimentali che chiedevano di implementare i rapporti con i familiari. Il suo successo dura nel tempo ed è un’esperienza «che ci ha segnato - spiegano gli studenti del Dams -. Il teatro è un modo per creare una bolla in cui dimentichi i tuoi problemi e questo è stato molto importante per le persone recluse che abbiamo incontrato».

Entusiasti anche i commenti dei detenuti, con Pietro che ha affermato come «sia stato come staccare una spina dalla nostra esperienza quotidiana». Francesca l’ha definita «un’esperienza che mi ha aiutato tanto e mi ha fatto capire come questi ragazzi non avessero pregiudizi nei nostri confronti».

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