Il giudice Salvini dona il suo archivio sul terrorismo alla Casa della Memoria

In quarant’anni di toga ha lavorato su trame nere, Brigate Rosse e piazza Fontana. Fu lui a scoprire chi si celava dietro la «fonte Tritone»
Il giudice Guido Salvini - Foto Ansa/Rastelli © www.giornaledibrescia.it
Il giudice Guido Salvini - Foto Ansa/Rastelli © www.giornaledibrescia.it
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«Mi convocava nel suo ufficio sempre nel tardo pomeriggio. Tardissimo. Spesso all’ora di cena, a giornata praticamente finita. Ci confrontavamo a lungo. Da avvocato per me era molto importante capire come la pensasse. Valeva la pena saltare un pasto. Anche perché spesso, prima di congedarmi, tirava fuori dalla sua borsa un foglio, un documento, un verbale. E mi diceva: "legga qui avvocato, vedrà che ci trova qualcosa di interessante". E qualcosa di interessante saltava sempre fuori».

Ora quei fogli, dei quali ha parlato l’avvocato Federico Sinicato, patrocinatore di parte civile della Cgil nel processo per la Strage di Piazza Loggia, in occasione di un incontro per le celebrazioni del cinquantesimo anniversario dell’attentato, sono tutti consultabili alla Casa della Memoria di Brescia. Glieli ha donati chi li ha raccolti personalmente in quarant’anni di toga: Guido Salvini. «Sono andato in pensione qualche mese fa. A me non servono più - ha detto il giudice al Giornale di Brescia - ma ho pensato potessero essere utili a tanti e che Casa della Memoria di Brescia fosse il luogo più indicato per conservarli».

Un patrimonio

Si tratta di un centinaio di faldoni. «Condensano tutta la mia attività - ha spiegato Guido Salvini - tutto il lavoro che ho fatto sull’eversione nera tra la fine degli anni ’60 e i primi del ’70, ma anche sulle Brigate Rosse, le indagini sulla Strage di Piazza Fontana, ma anche sul Mar di Carlo Fumagalli, sul golpe Borghese e sull’omicidio di Fausto e Iaio. Ho sempre fatto fotocopie di tutto; tenevo il materiale che ho accumulato in uno spazio che mi avevano concesso nell’archivio del Tribunale di Milano e in due cantine. È venuto Pippo Iannaci (preziosissimo archivista di Casa della Memoria, ndr) e ha caricato tutto su un furgoncino. A Brescia, alla Casa della Memoria ho sempre mandato tutti coloro che hanno studiato il terrorismo; chi cercava materiale per la laurea; chi era in cerca di documenti introvabili. Il lavoro fatto da Manlio Milani e da tutti coloro che hanno dedicato il loro tempo alla Casa della Memoria è unico. Non ci sono esempi altrettanto virtuosi in Italia».

Decisivo per piazza Loggia

Alle trame terroristiche di tutti i colori, anche di quelle che si sono intrecciate in Italia partendo da lontano, Guido Salvini ha dedicato l’intera carriera. Non si è occupato di piazza della Loggia, ma solo per il fatto che ha lavorato una vita a Milano (eccezion fatta per una parentesi a Cremona, dove nel 2012 si occupò anche di calcio scommesse). Ma per l’accertamento delle responsabilità della strage del 28 maggio 1974 ha avuto comunque un ruolo decisivo. È stato lui a dare un nome alla «fonte Tritone», a quel collaboratore dei servizi segreti che attraverso decine di veline ha raccontato in tempo reale i progetti stragisti dei neofascisti veneti, protetti sin dall’inizio e per i decenni successivi dalla «malavita istituzionale».

Fu Guido Salvini, nel corso delle indagini su piazza Fontana, a scoprire negli archivi del centro Cs (controspionaggio) di Padova chi si nascondeva dietro quello pseudonimo. Fu lui, all’inizio del 1993, ad estrarre dalle sabbie mobili del depistaggio di Stato Maurizio Tramonte, l’infiltrato che partecipò alla riunione di Abano Terme nella quale Carlo Maria Maggi ordinò la bomba di piazza della Loggia e che per questo, proprio con Maggi, è stato condannato all’ergastolo. Salvini chiamò subito Brescia. Parlò con il collega Gianpaolo Zorzi che stava per prosciogliere Benardelli, Rognoni, Ballan, Zani, Macchi e Ciccone, e gli diede le coordinate. Zorzi volò a Bari per sentire Tramonte che all’epoca era ai domiciliari per bancarotta. Tramonte gli confermò di essere la «fonte Tritone», ma negò tutto il resto. Non riuscì a togliere dalla testa del giudice istruttore che quella sarebbe stata la pista giusta. La pista da seguire.

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