Il detective bresciano di reperti bellici rischia il processo

Simone Bottura
Paolo «Gibba» Campanardi e il Museo Recuperanti sono accusati di aver raccolto materiale storico in una zona interdetta
Paolo «Gibba» Campanardi
Paolo «Gibba» Campanardi
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Paolo «Gibba» Campanardi e il Museo Recuperanti rischiano il processo: sono accusati di aver raccolto reperti storici in una zona interdetta.

Solo pochi giorni fa Paolo Campanardi – 40enne di Toscolano Maderno conosciuto dal grande pubblico come «Gibba», protagonista del format tv Metal Detective targato Discovery – era a Terno d’Isola al fianco dei carabinieri, su incarico della Procura di Bergamo, a cercare l’arma utilizzata per uccidere Sharon Verzeni.

Ora, insieme al gruppo di appassionati di metal detector che ha dato vita al Mu.Re., il Museo Recuperanti 1915-1918 Alto Garda Bresciano allestito a Maderno, si ritrova dall’altra parte della barricata, tra gli indiziati. «È una situazione che fa davvero male – spiega Campanardi –, solo dieci giorni fa eravamo impegnati a dare il nostro contributo alle indagini di uno spinoso caso di cronaca e ora siamo davanti a un giudice».

L’accusa

Campanardi e il suo gruppo di esperti di ricerca di reperti bellici sono accusati di aver raccolto materiale in una zona interdetta, perché protetta da un vincolo archeologico e paesaggistico, dove l’attività di ricerca e raccolta non è consentita.

«I fatti – spiega ancora « Gibba» – risalgono al 2022, quando siamo stati invitati a raccogliere materiale a vista in un’area del fronte della Grande Guerra, fuori dai confini regionali lombardi. È una zona ben nota a chi cerca questi reperti per poi rivenderli. Noi abbiamo recuperato solo qualche frammento di bottiglia. Parliamo di pezzi di vetro, di nessuna importanza storica».

Si tratta di materiale già posto sotto sequestro, in seguito a una denuncia. «A sporgerla –   aggiunge Campanardi – è stata la persona che ci aveva inviato a recuperare il materiale, della quale, con leggerezza, ci eravamo fidati».

L’appello e la raccolta fondi

Ieri, al Tribunale territorialmente competente, c’è stata l’udienza preliminare. E sempre ieri Campanardi e il vice presidente del Mu.Re., Daniele Bodei di Gavardo (anche lui nel team di ricerca che ha trovato il coltello dell’omicidio Verzeni), hanno lanciato un appello sui social e una raccolta fondi sulla piattaforma Gofundme per sostenere le spese legali. «Il museo si trova sotto attacco, dieci anni di duro lavoro rischiano di essere distrutti».

«Spiace – conclude amareggiato «Gibba» – perché ci alziamo all’alba per recuperare reperti che raccontano la storia dei soldati al fronte e renderli fruibili da tutti, gratuitamente, al Mu.Re, per preservare la memoria storica. Tra l’altro è tutto materiale denunciato, di proprietà dello Stato. Noi ci limitiamo a custodirlo».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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