I detenuti di Canton Mombello: «Condizioni inumane, restituiteci la nostra dignità»

L’appello al presidente Emerito della Corte Costituzionale Giuliano Amato, che ha visitato il penitenziario: «Giusto pagare le proprie colpe, ma nessuno ha il diritto di privarci dell’umanità e della speranza»
Il carcere di Canton Mombello - © www.giornaledibrescia.it
Il carcere di Canton Mombello - © www.giornaledibrescia.it
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Una decina di pagine. Piene di domande, ma anche cariche di emozioni e riflessioni. «Perché, se la pena deve tendere alla rieducazione, l’Italia permette l’ergastolo ostativo in contrasto non solo con la Costituzione ma anche con le normative europee stesse? Come può essere la pena rieducativa in carceri sovraffollati, con carenza di personale e strutture vetuste?». E ancora: «Come può il carcere essere riabilitativo se all'interno di strutture sovraffollate il 40% dei detenuti ha conclamati problemi psichiatrici ingestibili dagli istituti di pena?».

Sono solo alcune delle domande che i detenuti di Canton Mombello hanno presentato a Giuliano Amato, ex presidente del Consiglio e presidente Emerito della Corte Costituzionale, che nelle scorse ore ha visitato il carcere più sovraffollato d’Italia dopo che giovedì aveva reso omaggio alle vittime del terrorismo. «Un incontro emozionante e carico di significato» lo ha definito chi c’era. «Il problema principale, in questo istituto, ma non solo, è che all’interno di questa struttura ci sono persone detenute per un numero più che doppio rispetto alla capienza regolamentata: su 189 posti disponibili siamo, oggi, circa in 400» hanno detto le persone oggi in cella a Canton Mombello.

«Ci sono alcuni di noi che per anni, tutti i giorni, ogni minuto della loro vita, devono condividere con altre 15 persone una stanza di pochi metri quadrati. Non solo, con loro devono anche condividere un unico bagno o, meglio, una vecchia turca fatiscente cui sopra è posto un tubo dell’acqua per farsi la doccia, nel caso in cui si è fortunati, perché in molte altre carceri, le docce sono comuni e disponibili solo per pochi minuti la mattina. Ecco, queste persone siamo tutti noi» le parole dei detenuti di Canton Mombello. Che ad Amato hanno raccontato la loro quotidianità in spazi stretti e obsoleti. Inumani.

Spazi inumani

«Passiamo l’intera giornata chiusi in una cella dove è impossibile stare in piedi tutti insieme: siamo di culture, lingue, etnie, religioni diverse, fatichiamo a comprenderci, a comunicare, a concepire le abitudini degli altri perché a noi stessi estranee. La maggior parte sono tabagisti, fumano in continuazione per lo stress della vita in cattività, ammassati gli uni sugli altri come polli in batteria. Chi può permetterselo prova a cucinare, però pranzo e cena sono preparate in bagno e la preparazione viene più e più volte interrotta, perché bisogna uscire e lasciarlo a chi deve espletare qualche bisogno e, essendo in quindici, succede continuamente».

Passano le stagioni, non cambiano le condizioni: «D’inverno con le finestre a vetro singolo in plexiglass, necessariamente chiuse per il freddo pungente incontrastabile dal riscaldamento vetusto e fatiscente, i muri gonfi di umidità, ghiacciati, la mancanza di areazione con i conseguenti odori acri, pungenti, nauseabondi. D’estate nell’arsura più totale, i polmoni infuocati, una sola finestra con tre file di sbarre roventi, dove l’aria non passa, ma entra surriscaldata dal ferro e dal cemento bollente».

L’appello

Nessuno dei detenuti si è nascosto, ma tutti hanno chiesto un intervento delle istituzioni. «È giusto pagare le proprie colpe, è giusto saldare il proprio debito con la società, ma non si può prescindere dalla dignità dell’uomo. Con il sovraffollamento - hanno detto a Giuliano Amato i detenuti di Canton Mombello - ci è stata tolta la libertà, la dignità, l’intimità, tutto, ma nessuno ha il diritto di privarci dell’umanità e della speranza». 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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