Furto dossier, Mattarella e La Russa nel mirino della banda

La Redazione Web
Il gruppo indagato aveva 6 milioni di chiavette per 15 terabyte di file estrapolati dalle principali banche dati: la ricostruzione
Il presidente Sergio Mattarella - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Il presidente Sergio Mattarella - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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È il 26 dicembre del 2023 il giorno in cui il «gruppo» che fabbricava dossier su larga scala, con a capo l’ex super poliziotto Carmine Gallo e l’hacker Nunzio Samuele Calamucci, comincia a temere che vengano scoperte le «tracce» delle «attività criminali» a livello informatico.

La scoperta

In quei giorni di festa, infatti, «la funzione estera di vigilanza sulla rete informatica di Heineken Italia», si legge negli atti della Dda di Milano, «rivela un attacco alla sicurezza della sua infrastruttura informatica». Così tra fine anno e gennaio, come emerge dalle intercettazioni nell’inchiesta del pm Francesco De Tommasi, il «gruppo di via Pattari 6», dove ha sede, a due passi del Duomo, la Equalize di Enrico Pazzali e amministrata da Gallo, è «freneticamente impegnato» nella «distruzione delle tracce».

Ci sono chat di telegram e altra messaggistica da cancellare, ma soprattutto c’è una «mole immensa» di informazioni riservate, tirate fuori «bucando» le più importanti banche dati nazionali, da trasferire altrove e da distruggere solo in casi estremi. «Ottocentomila Sdi, c’ho di là», diceva Calamucci intercettato riferendosi ad un «hard disk» e agli accessi abusivi alla banca dati delle forze dell’ordine. In un’altra conversazione, l’hacker avrebbe avuto la preoccupazione di «mettere da parte sei, sette milioni di chiavette che c’ho io». Almeno «15 terabyte». «Carmine è a rischio perquisizione, quindi noi non dobbiamo lasciare qua nessun materiale estraneo (...) bisogna far sparire tutto», dicevano nelle intercettazioni. Trituravano i report cartacei, mentre usavano chiavette killer capaci di «assicurare» la «completa distruzione» dei contenuti.

Le circostanze più gravi

Una delle tante «circostanze» gravi ed inquietanti, scrivono gli inquirenti, è addirittura la «presenza» in una chiavetta Usb di Calamucci «di dati che apparentemente, ad una prima analisi, risultano classificati» come i documenti dell’Aise, il servizio segreto italiano per l’estero. La Dda, assieme alla Dna, continua ad indagare sulla presunta vendita di dati e informazioni sensibili verso l’estero. La banda, sottolineano i magistrati, aveva del resto rapporti a tutto campo, dalla criminalità organizzata ai servizi segreti anche esteri.

Dagli atti dell’inchiesta emerge che nella rete dell’associazione con base in via Pattari, in pieno centro, sono finiti migliaia e migliaia di nomi ma anche le più alte cariche del nostro Paese. Calamucci e Gallo, scrive il pubblico ministero Francesco De Tomasi, «lasciano intendere di aver intercettato (...) un indirizzo email assegnato alla massima carica dello Stato, il presidente Sergio Mattarella o comunque di essere riusciti (...) a utilizzare abusivamente o a clonare il predetto account».

Nel mirino La Russa, Renzi e gli altri

Nel mirino del gruppo, su richiesta di Pazzali, ci sono anche il presidente del Senato Ignazio La Russa e il figlio Geronimo. Il network di spie, che aveva rapporti con mafie e servizi segreti anche esteri, avrebbe raccolto informazioni anche su Matteo Renzi, su Carlo Sangalli, attuale presidente di Confcommercio-Imprese per l’Italia, l’avvocato siciliano Piero Amara, il legale imputato per una serie di procedimenti sulle vicende dell’Eni e per il caso Loggia Ungheria.

Tra i clienti invece, spunta il nome della senatrice azzurra Licia Ronzulli ed Heineken Italia.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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