Femminicidi, da cinque anni il carcere a vita è quasi inevitabile

Dei sei femminicidi consumati dal gennaio del 2020 nel Bresciano solo uno è stato punito con una pena più contenuta
La panchina rossa in memoria di Manuela Bailo -  Foto Pierre Putelli/Neg © www.giornaledibrescia.it
La panchina rossa in memoria di Manuela Bailo - Foto Pierre Putelli/Neg © www.giornaledibrescia.it
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Che sia la pena giusta è dibattito acceso da tempo. Che sia l’unica inflitta in caso di femminicidio è ormai un dato di fatto. A partire dal 20 aprile del 2019, con l’entrata in vigore della legge 33, gli autori di omicidi aggravati non possono essere ammessi al processo abbreviato, non possono quindi ottenere lo sconto di un terzo della pena in caso di condanna. L’ergastolo è quasi inevitabile. A dirlo sono i numeri, anche quelli raccolti nella nostra provincia nell’ultimo lustro.

Dei sei femminicidi consumati dal gennaio del 2020 solo uno è stato punito con una pena più contenuta: i 24 anni inflitti, grazie alla concessione delle attenuanti generiche, a Gianluca Lupi (assistito dall’avvocato Gianbattista Scalvi) per l’omicidio consumato l’8 maggio di quattro anni fa a Milzano, di Zsuzsanna Mailat, moglie e madre dei suoi figli.

Prima dell’aprile del 2019 il massimo della condanna non era così scontato. Fabrizio Pasini, che ha potuto scegliere il rito abbreviato e con l’avvocato Pietro Paolo Pettenadu è riuscito a dimostrare che l’omicidio di Manuela Bailo, consumato a fine luglio del 2018, non fu premeditato, ha chiuso il suo conto con la giustizia a 16 anni.

Trent’anni, sempre in abbreviato, il giudice dell’udienza preliminare di Brescia inflisse invece a Mohammed Saleem, Zahid Mahmood e Khalid Mahmood, rispettivamente padre e cognati di Hina, la giovane di origine pachistana ammazzata e seppellita nel giardino della casa di famiglia a Ponte Zanano di Sarezzo l’11 agosto del 2006, perché si era ribellata ai dettami della famiglia e voleva vivere – questa l’accusa che le era imputata dai maschi di casa – all’occidentale.

Sette giorni dopo quel brutale omicidio un’altra ragazza fu uccisa in provincia. Elena Lonati venne trovata cadavere nel pulpito del santuario di Santa Maria a Mompiano. A commettere l’omicidio fu il sacrestano di origini filippine della chiesa. Difeso dall’avvocato Marco Capra anche lui scelse l’abbreviato: condannato a 18 anni e sei mesi di reclusione ha finito di scontare la sua pena.

Ergastolo

Chi ha cercato di giocare le sue carte a dibattimento il più delle volte non è riuscito ad evitare l’ergastolo. È successo alla fine del primo decennio dei 2000 a Bruno Lorandi, condannato al massimo della pena per l’omicidio di sua moglie Clara Bugna; ad Alessandro Musini che a stesso destino il 16 marzo del 2015 condannò sua moglie Anna Mura nella abitazione di famiglia a Castenedolo; e ad Abdelmjid El Biti che nel marzo del 2018 ammazzò Souad, madre dei suoi due figli, infilò il suo cadavere in un borsone e lo fece sparire nel nulla.

Dall’entrata in vigore della legge 33 il massimo della pena, eccezion fatta per Lupi, è stato inflitto a tutti gli altri: ad Andrea Pavarini, per il brutale omicidio di Francesca Fantoni nei giardini pubblici di Bedizzole (25 gennaio 2020); ad Abderrahim Senbel per aver dato fuoco alla moglie nel loro appartamento di Fiumicello (27 settembre 2020); a Berisa Kadrus per aver ammazzato la badante ucraina Viktorija Vovkotrub ed aver sepolto il suo cadavere nella bocciofila di via Divisione Acqui (4 novembre 2020); a Paolo Vecchia, il 53enne operaio di Sabbio Chiese, che uccise la moglie Giuseppina Di Luca nell’androne della casa di Agnosine dove la donna era andata a vivere da poche settimane (13 settembre 2021), e ad Ezio Galesi che ammazzò a martellate Elena Casanova, operaia di Castegnato con la quale aveva avuto una relazione (20 ottobre 2021).

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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