Farsi prete, una scelta per sempre che non affascina più i giovani

La Chiesa dovrebbe interrogarsi: cosa fa per «dissetare» i ragazzi, ormai preda del narcisismo?
In una foto d'archivio, un momento di un'ordinazione sacerdotale
In una foto d'archivio, un momento di un'ordinazione sacerdotale
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Nessuna ordinazione sacerdotale quest’anno a giugno. Non è la prima volta. E, con tutta probabilità, non sarà nemmeno l’ultima.

Dal punto di vista emotivo questo fatto rammarica. Infatti in una Chiesa diocesana con oltre un milione di abitanti che vivono in 473 parrocchie con la tradizione di festeggiare ogni anno alcuni preti novelli si avverte un vuoto che interroga. Tuttavia questo comprensibile e normale interrogativo non deve indurre a cercare «colpevoli» ad ogni costo. Non avere preti, infatti, non dipende dai metodi formativi adottati nei Seminari, da vuoti educativi familiari o istituzionali, dalla freddezza dei cattolici verso la pratica cristiana.

Le cause dell’assenza di giovani che fanno la scelta del sacerdozio «per sempre» vanno cercate altrove. Prima di tutto e soprattutto nella condizione giovanile di questi tempi, magistralmente descritta anche da un recente intervento della rivista dei gesuiti La Civiltà Cattolica.

La fragilità è la caratteristica propria delle giovani generazioni. Una fragilità mimetizzata in tante forme di spavalderia ma sostanzialmente percepibile per una serie di fenomeni innegabili: il mondo sfarinato degli affetti nei loro ambienti di vita, con famiglie in gran parte sfatte; la mancanza di relazionalità stabile e profonda che permette di vivere rapporti solidi, a cominciare da un rapporto d’amore; i fuochi fatui dei social che, dando loro la percezione di una relazionalità vastissima, in realtà li spingono a comunicare in solitudine; la cultura dell’apparenza che non fornisce loro strade sicure ed esalta un modo di vivere estremamente competitivo e meritocratico.

Si tratta di un contesto che rende i giovani preda del narcisismo, della afasia verso gli adulti. L’alto numero dei suicidi fra studenti universitari e medi, la dipendenza da psicofarmaci e il rapporto conflittuale col proprio corpo, lo sfogo violento in non poche circostanze sono dati di fatto certificati da studi e ricerche autorevoli.

In questo contesto è ben difficile che un giovane si lasci affascinare da una scelta che dura tutta la vita, dipende da obbedienze «gerarchiche» e richiede pure il celibato che presuppone un grande equilibrio sessuale e affettivo.

Ma non si tratta di una gioventù irrecuperabile perché marcia: è solo assetata. Il filosofo Soren Kierkegaard scriveva che «Dio è una sorgente che si lascia trovare… ma che cerca l’assetato».

A questo punto è chiamata in causa la Chiesa: cosa fa per rispondere alla sete dei giovani? Forse finora per la loro sete d’infinito ha solo offerto la fontanina del cortile dell’oratorio, adatta per bambini e ragazzi. Gli adolescenti e giovani a questa fontanina non si dissetano più.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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