Due madri per la pace: da Israele e Palestina al liceo Leonardo
Una è israeliana, ha lavorato nelle pubbliche relazioni e ha 77 anni. L’altra è palestinese, ha studiato economia e di anni ne ha 46. Quello che le accomuna, però, sono una storia e un obiettivo più forti di ogni divisione: a entrambe la guerra ha ucciso un figlio ed entrambe hanno scelto di trasformare quel dolore insopportabile in testimonianza per spiegare che la Pace non solo è possibile, ma è soprattutto necessaria.
Le attiviste
Robi Damelin e Laila Al Shekh sono arrivate a Brescia questa mattina, mercoledì 2 ottobre, dopo due viaggi tribolati: la prima, si trovava all’aeroporto di Tel Aviv quando l’Iran ha lanciato centinaia di missili in direzione Israele e al suono della sirena è stata costretta a correre nei rifugi. La seconda, ogni volta che deve viaggiare, esce dal Paese con enorme fatica, deve superare controlli e posti di blocco che rendono il percorso verso l’aeroporto (da Tel Aviv non le è permesso partire) infinito.
Le due attiviste hanno raccontato le loro esperienze e risposto alle domande degli studenti delle classi quarte e quinte del liceo Leonardo, attentissimi nell’Aula Magna di via Balestrieri, dove la seconda parte dell’incontro – moderato dal professor Pierluigi Niccolai e organizzato da Casa delle donne e Donne in cammino per la Pace – è stata tutta dedicata alle domande di studenti e studentesse.
L’esperienza di Damelin
Damelin ha voluto condividere con i giovani il pensiero che le ha attraversato la mente martedì sera mentre, a tu per tu con la paura a causa dei missili iraniani, correva via dall’aeroporto verso un posto sicuro: «È stato spaventoso, perché l’aeroporto è un luogo sensibile, sicuramente un obiettivo. Ma almeno noi un rifugio in cui metterci in salvo lo abbiamo. I bambini e le famiglie palestinesi, invece, no. Un bambino che vive a Gaza vive la guerra, vede la sua mamma fuggire senza sapere dove potrà andare, non ha libertà di movimento, vede l’esercito piombargli in casa ogni volta che vuole. Che tipo di adulto può diventare?». Un tipo di adulto come il soldato palestinese che ha sparato a suo figlio: «Quando sono venuti a dirmi che lo avevano preso, pensavano di vedermi felice. Non è stato così: gli ho scritto una lunga lettera e ho anche chiesto di liberarlo se questo avesse potuto aiutare qualche ostaggio ad essere liberato. E questo perché la vendetta non porta a nulla».
Laila Al Shekh
Anche Al Shekh ha condiviso l’episodio più doloroso: «Il mio bambino aveva soltanto sei mesi: l’11 aprile 2022 si è svegliato in condizioni terribili perché l’esercito israeliano aveva iniziato ad utilizzare dei gas nei nel nostro villaggio. Quando abbiamo raggiunto l’ospedale, era ormai troppo tardi per salvarlo: i controlli e i posti di blocco non ci hanno consentito di arrivare in tempo». Per lei, la riconciliazione è stato un percorso più lungo. «Per i mesi successivi non ho voluto avere alcuna relazione con Israele. Poi, un giorno, ho partecipato a un incontro dell’associazione Parents Circle, ho visto madri e donne israeliane e palestinesi abbracciarsi, ho capito che conoscevano il mio stesso dolore e ho deciso che la missione era portare avanti un messaggio di Pace».
Il messaggio
Quindi, il messaggio lasciato in eredità a studenti e studentesse: «Continuiamo a credere che sia possibile trovare un dialogo di Pace per questa e per la prossima generazione. Se possiamo stare noi fianco a fianco, allora tutto il mondo può farlo. Aiutate le associazioni, fatevi parte attiva per la Pace. E per favore, raccontate ai vostri genitori quello che avete sentito questa mattina, perché voi siete un gruppo che può fare la differenza».
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