Don Burgio a San Polo: «I ragazzi da riconciliare con le loro ombre»
«Se vuoi aiutare un ragazzo a cambiare, deve aiutarlo a riconciliarsi con le proprie ombre. Fare un cammino con lui per fargli capire cosa lo rende così infelice». Don Claudio Burgio, cappellano del carcere minorile Beccaria e fondatore della comunità Kayros di Vimodrone che ieri ha incontrato nuovamente il 17enne accusato di aver ucciso, a Paderno Dugnano, i genitori e il fratello dodicenne, è a Brescia, alla Parrocchia Sant’Angela Merici di San Polo per parlare di disagio giovanile con un gruppo di adolescenti. Appartengono alle due parrocchie Sant’Angela Merici appunto e Conversione di San Paolo, guidata da don Marco Mori, e a una milanese. Il progetto che lo ha portato nella nostra città si chiama «From Me to We» ed è promosso dalle due parrocchie con la Fondazione Soldano del maestro Daniele Alberti, una sorta di prequel del Festival LeXGiornate.
Disagio giovanile
Domenica notte la strage di Paderno Dugnano, mercoledì un sedicenne è morto per le ferite riportate in una rissa tra giovani a Bologna. È stato fermato un coetaneo. Don Burgio arriva a Brescia in giorni drammatici che dicono quanto il disagio, la fragilità, il senso di incompiutezza stiano crescendo tra i giovani.
È accompagnato da uno dei ragazzi di Kayros, Mario. «Quando un giovane sbaglia fa delle prove, si sperimenta. Bisogna che venga educato. I ragazzi che arrivano da me al Beccaria non sono ragazzi cattivi, ma un po’ "stonati", inizialmente, se vogliamo usare la metafora della musica. Laddove trovano una guida, possono scoprire un’armonia. E i fili intrecciati male diventano una trama bellissima. La cattiveria c’è, esiste, ma non è l’ultima parola. Però bisogna lavorarci», dice Don Burgio. Mario ha 23 anni, alle spalle una situazione familiare che percepiva come oppressiva. «Sono esploso a modo mio, compiendo un paio di reati. Con mio padre abbiamo deciso di chiedere a don Burgio la possibilità di entrare in comunità».
Nelle parole dei ragazzi
Del 17enne di Paderno Dugnano racconta: «La cosa che più sconcerta è che le parole che ha detto Mario le ha pronunciate anche lui. “Non ce la facevo più, mi sentivo oppresso”. Per fortuna non tutti i casi hanno un epilogo così tragico. Ma il disagio attraversa tutte le classi sociali», aggiunge don Burgio. E a Mario chiede: «Come è possibile che si arrivi a sentire la famiglia come un’oppressione?».
«I miei sono stati sempre abbastanza rigidi, tendevano a chiudermi in casa come in una bolla di sicurezza che mi impediva di fare casini. Il disagio nei ragazzi può nascere per due motivi, l’eccessivo controllo dei genitori o la sua mancanza», risponde Mario. L’ansia della performance, della prestazione, è una delle cause del disagio che Don Burgio vede in tanti ragazzi al Beccaria.
Al Beccaria
E pronuncia un’altra parola, «incoerenza». Al cappellano i minori detenuti spesso dicono, «voi adulti i modelli li predicate ma non li praticate». Le celle al Beccaria sono spartane. «Il carcere produce tanto isolamento. Anche se la Costituzione prevede che debba essere un luogo rieducativo. È un dispositivo totale, separato dal mondo, dalla società. Un reato è un reato ma bisogna capire se la pena è rieducativa o diventa una vendetta», aggiunge. Riccardo durante il colloquio al Beccaria gli ha detto «tu sei quello che dice che non esistono ragazzi cattivi». «Di fronte a certi reati prevale il senso di vendetta. Quando ho fatto nascere Kayros sono partito dall’idea di una giustizia che fosse riparativa e riconciliativa».
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