Garlasco, quando i giudici di Brescia dissero no a Stasi per la revisione

I giudici non avevano avuto dubbi: «La pretesa prova nuova è priva della capacità dimostrativa a ribaltare il giudizio di colpevolezza». Così scrisse la Corte d’appello di Brescia nelle 49 pagine con cui nel 2020 rigettò l’istanza presentata da Alberto Stasi per chiedere la revisione della condanna a 16 anni per l’omicidio di Chiara Poggi.
Oggi Stasi è detenuto a Bollate, ha quasi finito di scontare la pena e attraverso i suoi legali ha già fatto sapere che, in virtù di come andrà l’inchiesta bis a carico di Andrea Sempio, è pronto a rivolgersi nuovamente ai magistrati di Brescia - competenti nel giudizio sull’operato e su sentenze dei colleghi della Corte d’appello di Milano - per chiedere l’annullamento della condanna che lui da sempre ritiene inaccettabile. Perché da sempre si proclama innocente.
Ottobre 2020

Oggi come cinque anni fa, ma così come nel 2007 quando Chiara Poggi venne uccisa, gli elementi al centro del caso sono gli stessi: il dna sul dispenser del sapone nella villetta dove la giovane morì, il dna sotto le unghie della vittima e poi le impronte delle scarpe sul pavimento insanguinato nella casa della famiglia Poggi.
Stasi puntò su cinque «nuove prove»: una consulenza tecnica in materia dattiloscopica sulla porzione del portasapone dove i Ris evidenziarono due impronte dell’anulare destro dello stesso Stasi «ma anche nove tracce di varia tipologia», una nota tecnica per dare conto «della presenza di alcune micro-crosticine sulla superficie dello stesso dispenser e mai valutate». Terza nuova prova presentata da Stasi fu una fotografia scattata il 13 agosto 2007 «relativa al lavandino del bagno al piano terra di casa Poggi nella quale sono evidenziabili almeno quattro formazioni pilifere», mentre la quarta nuova prova era un servizio televisivo de Le Iene che contestava una testimonianza. L’ultimo elemento proposto da Stasi nella richiesta di revisione datata 2020 fu il parere di un ingegnere sempre intervistato dalle Iene.
Per il collegio bresciano però nulla di quanto proposto da Stasi fu in grado di riscrivere la storia processuale del caso Garlasco. «Gli elementi fattuali che si vorrebbero provare con le prove nuove non sono stati comunque ritenuti idonei a dimostrare, ove eventualmente accertati, che il condannato, attraverso il riesame di tutte le prove, debba essere prosciolto, permanendo – scrisse la Corte d’appello di Brescia – la valenza indiziaria di altri numerosi e gravi elementi non toccati dalla prove nuove».
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato

@News in 5 minuti
A sera il riassunto della giornata: i fatti principali, le novità per restare aggiornati.