Caos a Seul, dichiarata e poi revocata la legge marziale

Yoon Suk Yeol ha accusato l'opposizione di sinistra di avere simpatie nordcoreane e di complottare una ribellione
In Corea del Sud è stata dichiarata la legge marziale
In Corea del Sud è stata dichiarata la legge marziale
AA

Giornata di caos a Seul, con il presidente Yoon Suk-yeol che prima ha dichiarato la legge marziale per poi fare marcia indietro poche ore dopo di fronte alle proteste di piazza e all'opposizione unanime del Parlamento. Oltre che, probabilmente, alle pressioni dell'alleato americano. La Corea del Sud era ripiombata nell'atmosfera sinistra dei militari per le strade quando Yoon, in un sorprendente e inatteso discorso serale alla nazione, aveva proclamato la legge d'emergenza accusando proprio il Parlamento, controllato dalle opposizioni, di simpatizzare con il Nord comunista e di paralizzare volutamente l'azione del governo. «Sradicherò le forze filo-nordcoreane e proteggerò l'ordine democratico costituzionale», aveva annunciato il presidente invitando i cittadini a sopportare «alcuni inconvenienti» per il bene della stabilità nazionale: «Attraverso questa legge marziale, ricostruirò e proteggerò la libera Repubblica di Corea».

Le reazioni

Uno shock per un Paese riemerso a fatica dagli anni bui e sanguinosi della dittatura militare con la celebrazione nel 1988 dei Giochi Olimpici estivi di Seul, ma che poi è riuscito a imporre il soft power del suo dinamico modello democratico al mondo con l'irresistibile K-pop (in vetta a Billboard), i film da premi Oscar («Parasite», prima pellicola straniera a vincere nel concorso generale) e da ultimo il Nobel 2024 per la Letteratura assegnato alla scrittrice Han Kang. La reazione infatti non si è fatta attendere: migliaia di persone hanno subito manifestato intorno all'Assemblea nazionale, resistendo con scontri all'ingresso delle truppe. Il Parlamento di Seul ha respinto all'unanimità la legge marziale con una risoluzione che ne chiedeva «l'immediata abolizione», approvata dai 190 deputati presenti sui 300 totali. Un voto che ha spinto le truppe a lasciare l'edificio e lanciato la sfida al capo dell'esercito Park An-su, che appena nominato comandante della legge marziale ha emanato un decreto per bandire le attività parlamentari e dei partiti politici, abolire le manifestazioni e mettere sotto controllo i media. «Coloro che violano la legge marziale possono essere arrestati o perquisiti senza mandato», si intimava nel decreto.

Condanna unanime

A dispetto di mesi di scontri, da ultimo quello aspro sul budget per il 2025, maggioranza e opposizione si sono trovate unite nel condannare la svolta autoritaria. Il leader del People Power Party Han Dong-hoon, lo stesso del presidente Yoon e al potere, ha descritto la mossa come «sbagliata» e giurato di opporsi insieme al popolo sudcoreano. Il capo dell'opposizione Lee Jae-myung, che ha perso di misura contro Yoon alle elezioni del 2022, ha etichettato la proclamazione della legge marziale come «illegale e incostituzionale», dicendosi sicuro che «Yoon Suk-yeol non sarà più il presidente della Corea del Sud». La scorsa settimana i parlamentari dell'opposizione hanno approvato un piano di bilancio molto ridimensionato rispetto ai desiderata presidenziali. «La nostra Assemblea nazionale è diventata un rifugio per criminali, una tana di dittatura legislativa che cerca di paralizzare i sistemi giudiziari e amministrativi e di sovvertire il nostro ordine democratico liberale», aveva accusato Yoon, indossando una cravatta rossa in stile Donald Trump.

La revoca

Nella notte la svolta, con l'annuncio di Yoon della revoca della legge marziale «dopo il voto contrario del Parlamento», il ritiro dei militari dalle strade e la festa in piazza dei manifestanti. Resta da capire quale sarà il destino di Yoon: impensabile, dopo la giornata di oggi, che resti a fare il presidente come nulla fosse. Tanto più che a livello globale aveva aperto scenari pericolosissimi. La Corea del Nord di Kim Jong-un, che ha stretto un asse con la Russia di Vladimir Putin oltre ad essere una storica alleata di Pechino, è un fattore di forte instabilità nell'area e avrebbe potuto approfittare del caos aprendo un terzo fronte di guerra, stavolta in Asia. Il presidente americano Joe Biden, informato degli eventi durante la sua visita in Angola, si era detto «seriamente preoccupato», per una volta in sintonia persino con il Cremlino, che aveva parlato di «situazione allarmante». 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

Condividi l'articolo

Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato