Consentito ma non normato: «Serve una legge per il suicidio assistito»
Il suicidio medicalmente assistito in Italia è consentito dal 2019, ma non è disciplinato. Lo ha introdotto la Corte Costituzionale, da allora però il Parlamento, invitato proprio dalla Consulta, non ha ancora scritto e approvato una legge ad hoc: «una lacuna non certo degna di un Paese come l’Italia» ha affermato il senatore dem Alfredo Bazoli intervenendo al convegno organizzato dal circolo cittadino del Partito democratico e ospitato dall’auditorium Artigianelli in città, al quale hanno partecipato anche Mario Gorlani, ordinario di Diritto pubblico all’Università degli Studi di Brescia e il dottor Alberto Giannini, direttore di struttura complessa Anestesia e Rianimazione pediatrica dell’Ospedale dei bambini.
Dopo l’introduzione di Anna Da Ros e i saluti del segretario provinciale del Pd Michele Zanardi è toccato al prof. Gorlani inquadrare il tema sotto il profilo giudico. Rispondendo alle domande della giornalista Anna Della Moretta, che ha moderato l’incontro, Gorlani ha spiegato l’origine e il senso della sentenza 242 del 2019 con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 580 del codice penale (istigazione o aiuto il suicidio) nella parte in cui punisce chi aiuta a morire una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale che, nella pienezza delle sue facoltà e in seguito a intollerabili sofferenze, chieda di porre fine alla sua esistenza. Il sen. Bazoli ha invece ripercorso l’iter del disegno di legge a sua firma che si è arenata in Parlamento nel 2022 causa lo scioglimento anticipato delle Camere.
Indicazioni
«Partendo dal presupposto che il suicidio assistito è realtà, non si può rinviare l’approvazione della legge. Che deve partire dalle indicazioni della Corte Costituzionale e pretendere la rigorosa verifica delle condizioni: a partire dalla capacità di intendere e volere della persone che lo richiede, per arrivare alle sue sofferenze.
La legge deve prevedere che si sia provato tutto, ma che alla fine del percorso non si voltino le spalle alla persona e al suo dolore. Non sarà una legge perfetta – ha concluso Bazoli – ma è quella che bilancia tutte le posizioni. Purtroppo anche solo discuterne con il centrodestra adesso è impossibile».
Che una legge sul fine vita serva è convinzione anche del dottor Alberto Giannini. Che ammonisce anche circa il dovere di applicare discipline che già esistono e che «purtroppo sono completamente disattese». «Mi riferisco – ha detto Giannini – alla legge sulle cure palliative del 2010, testo che ci invidia l’Europa intera, ma che non viene applicata. Un dato l’Italia è all’ultimo posto sull’uso di oppiacei nella terapia del dolore. O che gli italiani stanno molto bene, o che non c’è bisogno di terapia del dolore o che, come temo, la legge resta lettera morta e non c’è cura adeguata del paziente che affronta la traiettoria più dolorosa della malattia».
Iniziative locali
L’assenza di una legge parlamentare ha dato la stura ad una serie di iniziative locali. Promosse da associazioni che del tema hanno fatto la loro missione, a partire dalla «Coscioni», sono numerose le iniziative regionali: dal Veneto, alla Liguria, all’Emilia Romagna. «Non credo che possano reggere il vaglio della Corte Costituzionale – ha spiegato il prof. Gorlani – parliamo di diritti fondamentali, la cui disciplina deve essere necessariamente regolata dallo Stato.
Anche sotto il profilo dell’opportunità ho tutti i miei dubbi: non riesco proprio ad immaginare turismo verso le regioni che hanno disciplinato il suicidio assistito a discapito di quelle che invece non si sono dotate di una legge. La disciplina deve essere di Stato. Le regioni al massimo possono normare la sua attuazione».
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