Colera, dalla Napoli del 1973 a Brescia: storia di un’epidemia

L’eco dell’allarme napoletano arrivò anche in città: Bruno Boni fece chiudere le piscine. Ma l’anno nero per i bresciani fu il 1855
L'articolo del GdB del 5 settembre 1973 - © www.giornaledibrescia.it
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Nella memoria collettiva italiana il colera ha una connotazione geografica. Significa Napoli.

Troppo profondo il solco scavato in quell’estate del 1973, quando il capoluogo campano fu afflitto da una grave epidemia causata dal consumo di cozze crude e frutti di mare contaminati. Morirono 24 persone e se ne ammalarono 278, ma il bilancio poteva essere ben peggiore senza una delle più gradi operazioni di profilassi nel secondo dopoguerra che portò alla vaccinazione di circa un milione di persone.

A Brescia

L’eco dell’allarme arrivò anche a Brescia, dove all’inizio di settembre di quell’anno il sindaco Bruno Boni con un’ordinanza chiuse le piscine e vietò la vendita di gelati sfusi e pasticceria fresca contenente panna o crema. Misure puramente precauzionali, tanto che l’anticolerica non fu mai somministrata né vennero accertati casi in provincia.

I precedenti

Le paure, comunque, non erano immotivate. Nel corso del XIX secolo anche Brescia era stata infatti funestata dal colera. E sulla pelle della città ancora restano tracce: come quelle ante chiuse di un’edicola votiva posta tra due finestre su una facciata di via Marsala. Dentro la santella - prima murata su una facciata del rione Serraglio e poi spostata all’angolo di contrada del Carmine - c’era la Madonna del Colera, invocata contro la grande epidemia che tra il 1836 e il 1848 colpì Brescia e che causò diecimila morti.

Ma fu il 1855 l’annus horribilis: quell’estate bresciana, che costò la vita anche allo scrittore romantico e byroniano Giuseppe Nicolini, viene raccontata da Ippolito Nievo e non può non richiamare alla mente l’estate milanese della peste nel 1630 descritta da Alessandro Manzoni nei Promessi Sposi.

«A Brescia la calura era agostana - scrive Nievo -, il polverio denso rossastro, l’aria greve e stagnante. Il colera si sentiva in esso per le strade una solitudine spaventosa; il silenzio nelle piazze; le botteghe o serrate o appena socchiuse; qualche medico che sacrifica sé stesso qualche prete invocato da dieci moribondi». Pare una cronaca del 2020. Ma anche quella è acqua passata. 

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