Caso Meloni: ecco perché è un atto dovuto

Lo spiega un magistrato del tribunale di Brescia: «La Procura ha fatto ciò che la legge impone»
La premier Giorgia Meloni - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
La premier Giorgia Meloni - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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Il caso Meloni domina la scena politica. E aggiunge ulteriore tensione nel rapporto tra governo e magistratura. Il nome della premier, così come quelli dei ministri Piantedosi (Interno), Nordio (Giustizia) e quello del sottosegretario Mantovano sono finiti nel registro degli indagati per il rimpatrio del Comandante della prigione libica di Mittiga, Osama Njeem Almasri.

La politica di centrodestra attacca: «È una vendetta dei magistrati per la riforma che prevede la separazione delle carriere». L’Associazione nazionale magistrati – il sindacato dei magistrati – ha smentito la tesi del complotto. «L’iscrizione è un atto dovuto». Ma cosa vuol dire? Lo spiega un magistrato del tribunale di Brescia che prima delle sette del mattino invia un messaggio whatsapp. «Giusto per essere chiari....» fa sapere. Poi entra nel dettaglio.

«La legge costituzionale n. 1 del 1989 all'art. 6 obbliga il Procuratore della Repubblica che riceve una denunzia per reati ministeriali a:

  1. non fare alcuna indagine;
  2. trasmettere la denunzia ricevuta al collegio per i reati ministeriali competente a procedere;
  3. dare avviso agli interessati, vale a dire i componenti del governo denunciati».

Il magistrato bresciano che parla sul caos Meloni aggiunge: «Affermare che ci sia un'indagine della Procura di Roma ed un’informazione di garanzia da questa emessa ai sensi del codice di procedura penale, è informazione infondata. La Procura ha fatto ciò che la legge gli impone. Non avesse avvisato gli interessati, avesse indagato o cestinato la denunzia, avrebbe commesso un abuso».

La nota dell’Ucpi

«L'obbligo del Pubblico ministero di iscrivere una notizia di reato e il nome dell'indagato nel relativo registro sorge solo a fronte di una notizia "qualificata" e non in presenza di qualunque esposto, denuncia o querela» scrive in una nota la Giunta nazionale delle Camere penali. «La legge costituzionale numero 1 del 1989 che prevede poi, per i reati che si ipotizza siano stati commessi dal presidente del Consiglio dei ministri e dai ministri nell'esercizio delle loro funzioni, l'obbligo di avviso alle persone interessate e la trasmissione al Tribunale dei Ministri, deve ovviamente essere letta alla luce della regola generale. Ne discende che non esistono automatismi».

L'Ucpi definisce dunque sorprendente «la lettura data dall’Anm alla scelta da parte del procuratore di Roma di iscrivere nel registro delle notizie di reato la presidente del Consiglio, il ministro della Giustizia, il ministro dell’Interno e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, secondo cui si sarebbe trattato di “atto dovuto”. Malgrado quanto sostenuto dal sindacato delle toghe, non è dovuta l’iscrizione di una notizia che non abbia un minimo di fondamento e tale valutazione spetta, appunto, al Pubblico ministero.

«L’8 agosto dell’anno scorso - prosegue la nota – l’onorevole Roberto Giachetti ha presentato un esposto-denuncia contro il ministro Nordio e i sottosegretari Andrea Delmastro Delle Vedove e Andrea Ostellari, ritenuti responsabili di condotte omissive in relazione ai 65 suicidi di detenuti all’interno degli istituti di pena. Qualcuno ha avuto notizia che il procuratore di Roma li abbia inscritti nel registro degli indagati e abbia trasmesso gli atti al Tribunale dei Ministri previo avviso agli interessati? Sarebbe istruttivo conoscere il pensiero dell’Anm a riguardo. Insegnava Platone: “Il capolavoro dell’ingiustizia è di sembrare giusta senza esserlo”. Almeno per questa volta il capolavoro però, per quanto ci si sforzi, non pare sia riuscito».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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