Caso Eni-Nigeria: «I pm hanno nascosto atti a loro sfavorevoli»
«Hanno utilizzato solo ciò che poteva giovare alla propria tesi, tralasciando chirurgicamente i dati nocivi che pure erano stati portati alla loro attenzione dal dottor Storari»: lo scrive il presidente della prima sezione penale di Brescia Roberto Spanò nelle 136 pagine di motivazioni della condanna a otto mesi nei confronti dei pm milanesi Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro, ritenuti responsabili del reato di rifiuto di atti d’ufficio per non aver depositato atti favorevoli alle difese nel processo Eni/Shell-Nigeria che si è concluso con l’assoluzione di tutti gli imputati.
Atti volutamente nascosti
Per il collegio bresciano «gli imputati hanno deliberatamente taciuto l’esistenza di risultanze investigative in palese ed oggettivo conflitto con i portati accusatori spesi in dibattimento e nella requisitoria a dispetto delle pressanti esortazioni ricevute da un soggetto “specificamente qualificato”, ossia un magistrato in servizio presso il medesimo Ufficio di Procura, preoccupato per il vulnus arrecato dalle condotte omissive al corretto sviluppo del processo Eni Nigeria».
Il «dipartimento viaggi e vacanze»
Secondo i giudici bresciani che hanno condannato De Pasquale e Spadaro, i due pm avrebbero agito perché «la condanna nel processo Eni Nigeria sarebbe servita a giustificare le scelte organizzative della Procura, che aveva attribuito al III Dipartimento guidato dal dott. De Pasquale, quello che si occupava della corruzione internazionale, chiamato scherzosamente dai colleghi – scrivono i giudici nelle motivazioni – “il dipartimento viaggi e vacanze”, carichi di lavoro inferiori rispetto a quelli di altre aree. In caso di vittoria del processo il terzo dipartimento sarebbe diventato “il fiore all'occhiello dell’Ufficio milanese”».
Le motivazioni
Per il presidente della prima sezione penale di Brescia Roberto Spanò «contrariamente a quanto si legge nella memoria conclusiva redatta dalla difesa la “piena autonomia” riconosciuta al Pm dall'art. 53 del codice di procedura penale non può tradursi in una sconfinata libertà di autodeterminazione tale da rendere discrezionali anche le scelte obbligate».
Nelle motivazioni della condanna a otto mesi per i pm milanesi De Pasquale e Spadaro, i giudici bresciani aggiungono: «Il fatto che De Pasquale e Spadaro abbiano consapevolmente sottratto alla conoscenza delle controparti e del Tribunale “straordinari elementi in favore degli imputati”, non significa che abbiamo inteso perseguire persone che sapevano innocenti».
Il presidente del collegio Spanò sul punto prosegue: «Come si è visto, nemmeno il dott. Storari, che certamente non è stato indulgente verso i colleghi, si è spinto al punto di sostenere una tesi così estrema».
La pena
Sulla pena – sospesa – inflitta il collegio scrive: «Non appare possibile operare dei distinguo tra il grado delle singole responsabilità in quanto, pur avendo recitato nella vicenda De Pasquale un ruolo indubbiamente dominante, la condivisione delle scelte ha finito tuttavia per cementare inevitabilmente entrambi in un unico destino processuale».
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato
@News in 5 minuti
A sera il riassunto della giornata: i fatti principali, le novità per restare aggiornati.