Caso Caffaro, assolti in abbreviato Cappelletto, Marinelli e Moreni

I primi due erano accusati di inquinamento doloso e smaltimento illecito di rifiuti, il terzo di inquinamento colposo
Una veduta aerea del Sin Caffaro a Brescia - Foto Gabriele Strada/Neg © www.giornaledibrescia.it
Una veduta aerea del Sin Caffaro a Brescia - Foto Gabriele Strada/Neg © www.giornaledibrescia.it
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Cinque anni per arrivare alla sentenza. Mezz’ora di camera di consiglio per assolvere i tre imputati. Tanto ha impiegato il giudice dell’udienza preliminare Andrea Guerrerio per respingere le tesi dell’accusa e chiudere senza un responsabile uno dei pochissimi fascicoli d’inchiesta aperti attorno al caso Caffaro sopravvissuti allo scorrere del tempo (e a tutte le sue conseguenze) e approdato in aula.

Per il gup non sussistono né l’inquinamento ambientale doloso, né quello colposo. Per questa ragione Marco Cappelletto (commissario straordinario di Caffaro Snia), Alfiero Marinelli (procuratore speciale per la tutela ambientale della stessa azienda) e Roberto Moreni (ex commissario straordinario del Sin Caffaro) sono stati assolti con formula piena. I primi due erano accusati di inquinamento ambientale doloso, oltre che di gestione illecita di rifiuti pericolosi.

Le accuse

Secondo i titolari del fascicolo aperto nel 2019 (il procuratore aggiunto Silvio Bonfigli e il sostituto Donato Greco) Cappelletto, in qualità di commissario straordinario della Caffaro Srl e della Caffaro Chimica, all’epoca in amministrazione straordinaria, e Marinelli, direttore degli stabilimenti di Brescia con delega alla loro manutenzione e al rispetto delle norme ambientali, avevano provocato un deterioramento «significativo e misurabile di estese porzioni del suolo e del sottosuolo del reparto “cloro-soda” dello stabilimento di via Nullo, risultate contaminate da mercurio arrivato a concentrazioni di gran lunga superiori a quelle autorizzate». A questo risultato, secondo l’accusa, erano arrivati mantenendo «in stato di deposito incontrollato» e omettendo di smaltire all’interno dello stesso reparto cloro-soda, una vasca di raccolta delle acque impiegate nel processo lavorativo, le tubazioni dell’impianto e alcune cisternette, tutte contaminate da mercurio; oltre a sedimenti di piombo, diossine, ferro e ancora mercurio contenuti nelle trappole adagiate sul pavimento corroso del reparto.

Dalla gestione illecita di questi rifiuti Cappelletto e Marinelli sono stati assolti perché il fatto non costituisce reato. All’inquinamento, secondo la Procura, aveva contribuito, ma solo a titolo di colpa, per non aver svolto correttamente il suo ruolo di garante ambientale, anche l’ex commissario straordinario del Sin Caffaro Roberto Moreni. Anche per lui l’assoluzione è piena «perché il fatto non sussiste».

Quale sia il ragionamento che ha condotto il gup Guerrerio a non accogliere le richieste di condanna dei pm (due anni per Cappelletto e Marinelli, dieci mesi e 20 giorni per Moreni) non è dato sapere: bisogna attendere le motivazioni per le quali il gup si è preso 90 giorni.

La difesa

I difensori degli imputati (gli avvocati Carla Gheruzzi e Stefano Lojacono per Moreni, Ennio Buffoli e Daniele Grasso per Cappelletto, Matteo Garbisi e Federica Bertocco per Marinelli) negli interventi di ieri, tra le altre cose, hanno sostenuto che non vi sia la prova dell’estensione dell’inquinamento e nemmeno che il suo eventuale aggravamento sia conseguenza delle condotte dei loro assistiti. Sotto il primo profilo hanno eccepito l’assenza di riscontri oggettivi. In particolare – hanno sostenuto – non furono effettuati i carotaggi nella quantità richiesta dalla legge. Quanto al secondo aspetto hanno fatto valere i risultati delle loro consulenze tecniche, secondo le quali gli imputati hanno ereditata una situazione già compromessa, senza peggiorarla.

«Il dottor Moreni, in questi anni, ha vissuto con amarezza il coinvolgimento in questo processo. Egli infatti ha sempre svolto, peraltro gratuitamente, il ruolo di Commissario straordinario delegato alla progettazione della bonifica come un servizio in favore della città di Brescia e dei suoi cittadini. Riteneva – hanno detto al termine del processo i suoi difensori, gli avvocati Carla Gheruzzi e Stefano Lojacono – quindi paradossale che lo si accusasse di essere responsabile di un inquinamento. Ha sostenuto inutilmente la totale insussistenza dell’accusa nella fase delle indagini. L’assoluzione di oggi lo ripaga parzialmente di questa amarezza». 

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