Carla Cinelli: «Sgarbo a mio papà e alle sue foto sulla strage di piazza Loggia»

Sara Polotti
La fotografa e responsabile dell’Archivio Storico Silvano Cinelli ha lanciato una petizione per rivendicare il diritto del pubblico alla corretta informazione
Disperazione poco dopo lo scoppio della bomba in piazza Loggia - Foto Eden
Disperazione poco dopo lo scoppio della bomba in piazza Loggia - Foto Eden
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Sono suppergiù 150 le persone e gli enti che il 10 maggio 2024 hanno ricevuto la lettera «Libertà e partecipazione» da parte di Carla Cinelli, che ha fatto seguito a un’altra comunicazione sullo stesso tema inviata a diverse realtà dal fotografo Pietro Gino Barbieri.

La fotografa e responsabile dell’Archivio Storico Silvano Cinelli - autore come Barbieri di alcune delle immagini scattate immediatamente dopo la bomba in Piazza della Loggia (protagoniste peraltro della mostra «Silvano Cinelli testimone di una strage» che è stata inaugurata lo stesso giorno presso il Museo Nazionale della Fotografia di Brescia) - ha lanciato una petizione per rivendicare il diritto del pubblico alla corretta informazione. Secondo lei Maurizio Galimberti, Renato Corsini e Fondazione Brescia Musei hanno agito in maniera insoddisfacente non comunicando in maniera opportuna la paternità delle foto utilizzate nella mostra «Maurizio Galimberti. Brescia, Piazza Loggia 1974» allestita al Museo di Santa Giulia e inserita nel Brescia Photo Festival, oltre che nel palinsesto di eventi per la celebrazione del cinquantesimo anniversario della strage. Galimberti ha usato foto provenienti da tre archivi (quello di Cinelli, padre di Carla, quello di Pietro Gino Barbieri; e quello Corsini-Ferrari, che condivisero un rullino nei momenti concitati della strage) rimaneggiandole per ottenere le sue tipiche opere destrutturate.

«I nomi degli autori di queste fotografie a parere di organizzatori, collaboratori, curatori e artista non sono un’informazione di interesse pubblico», dice la lettera, dato che «non le hanno rese disponibili ai cittadini; non all’interno della mostra, non sui siti istituzionali, non citati durante le tante visite guidate. (…) In mostra sono presentati 9 elaborati del momento della strage tratti da 9 fotografie, una scattata da Pietro Gino Barbieri, cinque da Silvano Cinelli e tre da Eugenio Ferrari, lucide testimonianze di quei tragici momenti».

Continua la lettera: «Ancora più grave è l’inesattezza riportata nell’informativa diffusa dagli organizzatori, ripetuta più volte durante gli incontri con la stampa e il pubblico ed in interviste televisive, per voce della stessa Presidente di Brescia Musei, che menziona Renato Corsini come unico autore delle fotografie usate da Maurizio Galimberti per le sue modificazioni».

La replica di Corsini

«Non mi sono mai appropriato di fotografie di altri», risponde Corsini. «Su tutte le comunicazioni c’è scritto che alcune delle fotografie provengono dall’archivio Corsini-Ferrari. Quel giorno usai la macchina fotografica di Ferrari quando lui stava andando via. Mi ha dato la sua macchina, ho scattato alcune immagini sul suo rullino e poi, con il mio, i funerali. Abbiamo deciso insieme fin da subito che tutte fossero parte di un archivio comune».

Per quanto riguarda le opere di Galimberti, Corsini ritiene che «non sia tenuto a scrivere che siano foto di Cinelli, Barbieri, Corsini o Ferrari. Non lo fa nemmeno con quelle basate su altre opere del passato, come per esempio ‘Napalm Girl’».

In realtà osservando le mostre passate e le sue pagine social, a volte il nome dell’artista originale compare. Quale sia il criterio è difficile stabilirlo. «Non saprei, ma queste sono foto di cronaca, non creative. Dopo vent’anni non vantano nessun diritto, non funziona come con le foto d’arte i cui diritti durano settant’anni dalla morte di chi le scatta. Prendiamo i ritratti a Che Guevara: ha mai letto da qualche parte che sono foto di Alberto Korda? Detto questo, invito la signora Cinelli a rivolgersi agli organi opportuni, per le sue rivendicazioni»».

«Le didascalie le scriva lei col pennarello, così poi il museo le farà causa», schernisce dal canto suo Maurizio Galimberti. Per rispetto, dice, «ho messo il nome all’inizio della mostra. Ma le mie opere non c’entrano più con le foto di suo padre, sono totalmente un’opera a sé. Non ho lavorato con lui. Ci faccia causa e buonanotte. Farà anche brutta figura in tribunale».

I diritti d’autore, afferma, «sono scaduti e non sono fotografie d’arte. Chi le definisse arte direbbe una cosa tremenda: si tratta di una strage. E poi l’opera è a sé, le foto sono state stravolte. Che cosa accampa?». Per avvalorare la sua posizione, Galimberti fa notare che anche Casa della Memoria in passato ha pubblicato gli scatti non specificando il nome del fotografo. «Ma io sono Galimberti, sono famoso, un grande autore della fotografia e quindi ci si prova. E c’è invidia. Se devo dirla tutta ho tolto le ragnatele da quelle foto che marcivano in archivio e gli ho dato pure lustro. Quando Duchamp ha messo i baffi alla Gioconda non ha firmato ‘Duchamp con Leonardo’. È il concetto dell’appropriation art. Suo padre non c’entra più nulla: le opere sono frutto della manipolazione di qualcun altro. Sarebbe una follia, non posso mettere il suo nome».

Chiarimenti

Carla Cinelli però non ci sta. Ecco perché vorrà un chiarimento in sede giudiziale, dice. «Invidia? Per niente», sorride. «Da anni Galimberti lavora sulle fotografie iconiche destrutturandole, ma riporta sempre il nome dell’autore della foto originale. In quest’occasione non l’ha fatto. Lo decide in base ai suoi interessi. Ma la menzione è dovuta per legge. La modalità in cui viene fatta la menzione è un’altra questione: dipende da chi allestisce». Si riferisce, quindi, a Fondazione Brescia Musei, che ha organizzato in collaborazione con il Ma.Co.f diretto da Corsini la Mostra in Santa Giulia. «Non hanno dato la dovuta visibilità agli autori originari, ma soprattutto non hanno fornito le giuste informazioni al pubblico, che ha il diritto di conoscere la storia e la verità di quel momento». Non si parla quindi di diritto d’autore, secondo Cinelli. «La menzione non ha mai scadenza, quando si parla di autorialità. Parlo da cittadina e dal punto di vista della correttezza della comunicazione. Le foto di mio padre sono già famosissime e non hanno bisogno d’altro, ma voglio che ci sia correttezza nei confronti del pubblico».

Ma allora le foto usate in passato da Casa della Memoria senza attribuzione? «Io gestisco l’Archivio Storico Silvano Cinelli e decido io a chi dare le immagini e gli utilizzi. Casa della Memoria è un’altra questione. Si è appropriata di tutto il materiale, ma non è suo. L’abbiamo sempre lasciata passare perché il lavoro di Manlio Milani è prezioso. Ma il ragionamento di Galimberti è sbagliato: un’opera rubata può essere rubata nuovamente? In ogni caso, ho fatto scrivere a tutti dall’avvocato. Il Comune di Brescia non ha fatto nulla. Fondazione Brescia Musei ha risposto modificando la dicitura sul sito, ma non è soddisfacente».

La posizione del Comune

Il Comune, da questo punto di vista, sottolinea che ha affidato a Brescia Musei l’organizzazione. «Ci era arrivata una lettera, abbiamo sentito Brescia Musei e la Fondazione si è attivata per risolvere la questione: se c’era un errore, era giusto rimediare», fanno sapere dalla Loggia. Ed effettivamente Fondazione Brescia Musei ribadisce di essersi mossa. «Agiamo sempre nei modi più corretti», dice Stefano Karadjov, direttore. «Possono esserci talvolta dei deficit informativi, ma vengono sanati: abbiamo già provveduto ad assegnare la paternità delle foto al signor Cinelli sia nei materiali editoriali, sia in mostra con una importante scritta all’ingresso. Le singole foto non hanno didascalia: la mostra è un’installazione con i foto-collage di Galimberti e per scelta nessuna opera ha indicazioni scritte, poiché a parlare non è il lavoro singolo, ma l’intera installazione site specific». Aggiunge: «Noi siamo i veri custodi del diritto d’autore, della paternità e del riconoscimento agli artisti del passato e del presente. È folle pensare che un museo abbia interesse a discriminare: è contrario al nostro obiettivo. E poi abbiamo totale rispetto del tema: si parla di otto martiri, non dimentichiamolo mai».

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