Cappa ostruita dai piccioni: 93enne ucciso dal monossido, in cinque a processo
Ucciso da monossido di carbonio. Nel suo appartamento. In un condominio di quattro piani in città. Una morte assurda. Ancor più assurda perché in quella casa, nella sua casa, la presenza del più invisibile e silenzioso di tutti i killer, in mancanza di dispositivi in grado di produrlo, era quanto meno improbabile. Per non dire addirittura impossibile. Che quel gas potesse saturare la sua abitazione era eventualità esclusa fino a quando del suo decesso, apparentemente inspiegabile, e del malore della moglie, altrettanto ingiustificato, non se ne sono occupati i sanitari intervenuti per gli inutili soccorsi prima e gli inquirenti poi.
Grazie anche all’autopsia eseguita sul corpo dell’anziano, i primi hanno chiarito nel volgere di poco che fu proprio il monossido a causare la sua morte. Mentre ai secondi, esclusa la presenza di possibili fonti nell’abitazione, è servito più tempo per arrivare alla sorgente che ha sprigionato il gas killer e per ripercorrere la via attraverso la quale si è fatto largo nell’appartamento al primo piano dove, quella mattina di aprile di cinque anni fa, si consumò il dramma.
Al termine della sua indagine, per la quale si è avvalso dei Vigili del fuoco, per la morte del 93enne padrone di casa, il sostituto procuratore Teodoro Catananti ha chiesto e ottenuto il processo per cinque persone. Tante sono quelle rinviate a giudizio con l’accusa di omicidio colposo.
Concatenazione fatale
Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti il decesso dell’anziano è il prodotto della concatenazione di una serie di imprudenze e negligenze, in quanto tali, evitabili. Tutto originerebbe dall’installazione di un boiler a gas in uno scantinato e dallo sfruttamento della canna fumaria condominiale, adibita allo sfogo delle cappe di tutte le cucine del condominio, per far defluire i gas della sua combustione.
Secondo la ricostruzione dell’accusa il condotto, che avrebbe dovuto avere un andamento lineare fino al suo sfogo sul tetto, a causa di interventi murari in un appartamento dello stabile, subì una deviazione e cambiò radicalmente il suo andamento a causa dell’introduzione di un «gomito» che finì per compromettere la sicurezza dell’intero impianto. In quella piega, ricostruirono gli inquirenti, con il passare degli anni, si era depositato materiale di diversa natura. A fare da tappo, a spingere il monossido di carbonio a ritroso lungo il condotto e attraverso le cappe delle cucine, in particolare, furono le carcasse di due piccioni.
Gli imputati
Della morte del 93enne, trovato senza vita dalla figlia che non riceveva risposte dai genitori e che, preoccupata si precipitò a casa loro per vedere che cosa potesse essere loro successo, ora sono chiamati a rispondere la vicina di casa proprietaria del locale nel quale fu installato il boiler e l’idraulico che eseguì l’intervento e scelse la canna fumaria delle cappe per farlo scaricare.
Con loro a processo ci sono anche l’architetto che firmò l’intervento di ristrutturazione in seguito alla quale, secondo gli inquirenti, quella canna fumaria fu deviata e i proprietari dell’appartamento nel quale furono eseguiti quei lavori. Questi ultimi, peraltro, sostengono di non avere nulla a che fare con quell’abitazione e quel cantiere. Affermano di aver venduto casa prima delle opere e disconoscono, attraverso una consulenza calligrafica disposta dal loro difensore, la firma apposta sulla Segnalazione certificata di inizio attività. Entrato nel vivo la scorsa settimana, con l’esame dei consulenti della procura, il processo è stato aggiornato a settembre.
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