Caffaro, Basta Veleni: «La Loggia intervenga sulle aree private e tuteli la salute pubblica»
L’inquinamento sprigionato dalla Caffaro Chimica, l’azienda che ha avvelenato mezza Brescia e parte della provincia, rappresenta ancora un pericolo per la salute dei cittadini. A ricordarlo alla Loggia, senza fronzoli o giri di parole edulcorati, sono gli attivisti di Basta Veleni, ieri in delegazione dall’assessora all’Ambiente Camilla Bianchi.
L’obiettivo è palese: ripuntare i riflettori sulle aree private, appezzamenti che le indagini condotte negli anni passati hanno certificato essere zeppi di inquinanti, infettati in particolare da un’altissima concentrazione di diossine, oltre che di Pcb (i policlorobifenili). In quelle aree, però, c’è chi abitava ed abita, c’è chi è arrivato di recente, c’è chi è cresciuto con un’ordinanza «contingibile urgente» che viene però rinnovata invariata da ormai un ventennio, senza che nulla sia cambiato. Un tema questo degli spazi privati che, negli anni, è sempre rimasto relegato in fondo al lungo elenco di azioni da mettere in campo per respingere (e per tentare di risanare) i danni causati dalla vecchia azienda di via Nullo.
Le urgenze
Basta Veleni non ha portato sul tavolo solo una protesta, però. Ha anche srotolato una serie di proposte e di azioni da mettere in moto il prima possibile. Perché la salute «deve venire prima di tutto».
Sei le mosse richieste. A partire dalle basi: l’informazione dettagliata ai cittadini sullo stato di contaminazione dei loro terreni così da metterli in condizione di rispettare l’ordinanza sindacale. «È superfluo sottolinearne l’urgenza: i cittadini non sono in grado di rispettare le misure, che oggi appaiono sostanzialmente di nessuna efficacia» (non si è mai ben capita, ad esempio, la classificazione di «inquinamento medio»). Dopo 23 anni dallo scoppio del caso, poi, sarebbe ora di avviare un’indagine epidemiologica sui tumori correlati alle diossine, un approfondimento che in passato non fu mai messo in atto, fermandosi solo agli approfondimenti legati ai Pcb. «Curiosamente a Brescia, mentre nei terreni risulterebbe di gran lunga più importante la contaminazione da diossine, sono state fatte indagini esclusivamente su patologie e tumori correlati ai Pcb. Chiediamo al Comune, quale tutore della salute dei cittadini, di attivarsi perché queste indagini vengano compiute, in particolare ma non solo, per un tumore "marcatore" delle diossine»: il sarcoma dei tessuti molli.
Basta Veleni invoca poi ovviamente la bonifica. Va ricordato che nel primo Accordo di programma legato al Sito di interesse nazionale Brescia Caffaro un pacchetto fondi era appostato proprio per le 13 aree private, ma le risorse sono state dirottate sulla bonifica del Campo Calvesi. «L’intervento sui tredici appezzamenti privati ad elevatissima contaminazione, programmato dalla Sogesid, fu rinviato inopinatamente dal commissario nel 2015. Anche in questo caso – puntualizzano Marino Ruzzenenti, Stefania Baiguera e Guido Menapace – vi è un problema di tutela della salute ancor più grave, tenendo conto che i cittadini risulterebbero ignari della situazione di rischio che continuano a vivere».
La partita economica
Va da sé che per procedere in questa direzione, andrebbe riperimetrato anche il Sin sulla scia di una nuova caratterizzazione: di questa intenzione (non a caso) si parla da anni. L’allora ministro dell’Ambiente Sergio Costa aveva posto il tema tra le priorità, ma con il cambio di governi tutto è finito nel dimenticatoio. «Occorre un bando per la pre-progettazione di fattibilità tecnica ed economica della bonifica e messa in sicurezza di tutti i terreni contaminati, calcolando il preventivo».
Anche in questo caso, il fattore tempo non è irrilevante: in gioco ci sono gli oltre 250 milioni di euro che il Ministero sta cercando di incamerare da LivaNova (la multinazionale in cui è confluita Sorin Biomedicale, la «parte economicamente sana» della vecchia Snia). Il procedimento giudiziario è ancora in corso, ma Brescia deve farsi trovare pronta o il rischio è che quei fondi «si disperdano nei meandri romani, semplicemente perché il Comune non ha un progetto su come quelle risorse debbano essere impiegate a ristoro dei cittadini inquinati».
L’ultima richiesta è organizzativa: costituire un team tecnico all’interno del Comune per programmare e gestire negli anni il dossier Caffaro. Un dossier che la Loggia maneggia ormai da oltre da 23 anni.
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