Bueno Fonteno, come è fatto l’abisso in cui è caduta Ottavia Piana

Scoperto casualmente 20 anni fa, è un labirinto di gallerie, cunicoli, forre e canyon sotterranei. Un’area di 100 chilometri quadrati, ancora in parte da esplorare
La verticale finale del ramo Hydrospeed - Foto di Vittorio Crobu, tratta da Progetto Sebino
La verticale finale del ramo Hydrospeed - Foto di Vittorio Crobu, tratta da Progetto Sebino
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Un mondo sotterraneo. Abissi che si estendono sotto un’area di circa cento chilometri quadrati. Che solo in minima parte è stato possibile esplorare, benché da quasi 20 anni - da quando cioè Bueno Fonteno è stato scoperto casualmente - gli speleologi non abbiano mai smesso di calarsi nel dedalo di gallerie, cunicoli, forre e canyon sotterranei. Tanto basta a comprendere quale livello di complessità e di vastità caratterizzino la cavità carsica che è il cuore del Progetto Sebino.

La storia

Era il 2006 quando i primi speleologi si avventurarono là dove un piccolo pertugio lasciava uscire aria gelida. Da allora è stata progressivamente mappata una struttura geologica di straordinaria complessità, come poche se ne contano a livello nazionale. Più rami si dipartono nel sottosuolo, tra verticali di decine di metri che solo chi vanta competenza assoluta in materia di tecnica alpinistica e speleologica può affrontare, sifoni e corsi d’acqua che rendono ancora più estrema l’esplorazione, tanto da imporre anche l’intervento di speleosub, capaci di procedere in immersione attraverso laghi sotterranei e torrenti.

Solo il ramo principale di questo impressionante sistema che si estende sotto la vasta area compresa tra la sponda bergamasca del lago d’Iseo all’altezza di Tavernola sino al lago d’Endine si sviluppa per circa 1,5 km, per un balzo complessivo verso il centro della Terra di 451 metri.

Ma nell’insieme, tra passaggi allagati, forre, meandri e rami ad oggi solo 36 km sono stati percorsi, studiati e… battezzati. Basta scorrere le molte mappe che il sito di Progetto Sebino propongono per scoprire come la fantasia non manchi a chi si occupa di speleologia: Ramo Hydrospeed, Ramo Fangul, Meandro La Carretera, Nueva Vida (supergrotta quest’ultima analoga e attigua al Bueno Fonteno) sono solo alcuni dei nomi più suggestivi attribuiti a snodi chiave della immensa cavità carsica che si cela al di sotto del massiccio sebino.

Difficoltà in cifre

Per capire le difficoltà che affrontano i molti speleologi di club e associazioni che unendosi hanno dato impulso alle ricerche sottese al Progetto Sebino bastano un paio di dati. Ottavia Piana, quando sabato si è infortunata per il cedimento improvviso di un tratto di una porzione di grotta, si trovava a circa 4 km dall’accesso di Bueno Fonteno, ad una profondità di 600 metri. In condizioni normali, tornare in superficie avrebbe richiesto, dal punto della caduta, circa 4 ore.

D’altro canto, le proporzioni del sistema carsico sono tali che i corsi d’acqua che lo percorrono, in alcuni momenti dell’anno, arrivano ad avere una portata di 130 litri al secondo.

Perché si esplora

E a proposito di acqua, proprio sull’oro blu si concentra ampia parte degli sforzi degli speleologi, chiamati a capire quali tracciati seguano fiumi e torrenti carsici nel sottosuolo sebino. Capire come muovono le acque sotterranee, dove si intersecano e che fine fanno le acque piovane raccolte dalla montagna, può infatti tradursi in un concreto contributo ad un migliore sfruttamento delle risorse idriche disponibili. Ma gli studi interessano anche discipline come l’aerologia (incentrata sulla circolazione dell’aria) e la biologia speleologica, che si concentra sull’analisi delle forme di vita presenti a enormi profondità.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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