Crescere a Brescia e sognare l’Europa: il cammino delle seconde generazioni

Mangiano polenta e spiedo, cantano Ghali e parlano dialetto bresciano. Chi sono? I ragazzi di seconda generazione: nati e cresciuti in Italia, ma per lo Stato ancora cittadini stranieri. In occasione del referendum abrogativo dell’8 e 9 giugno relativo alla legge che dimezza i tempi per l’ottenimento della cittadinanza, abbiamo voluto ascoltare le loro voci: chi si sente già italiano, chi è indifferente al tema e chi si sente persino europeo. Sono gli italiani con il trattino, hanno sogni diversi ma un minimo comune denominatore: diventare italiani anche sulla carta.
La voce dei nuovi italiani
«Cinque anni in meno significherebbero una vita in più da cittadino italiano». Chi parla è Elton Krasniqi, studente di origini kosovare dell’istituto Luigi Einaudi di Chiari. «Non è solo una questione di numeri, è il tempo in cui potrei iniziare a costruire il mio futuro con gli stessi diritti dei miei compagni italiani».

Il 19enne è nato in Italia, cresciuto in Kosovo e poi ritornato nel bel Paese: un susseguirsi di scelte e luoghi di vita che gli hanno impedito di ottenere «l’italianità» in quanto la residenza continua e ininterrotta nel territorio italiano è requisito essenziale per avere la cittadinanza. «Essere italiano vorrebbe dire sentirmi finalmente incluso in un Paese che per me è da sempre casa. Significa non sentirmi più ospite in una terra dove sono nato e cresciuto».
«La cittadinanza non è un regalo: è un riconoscimento», afferma Yasmina Sbai, 19enne di Brescia. «L’approvazione del referendum sarebbe un enorme passo in avanti: cinque anni in meno vogliono dire meno ingiuste e più integrazione». Nel condividere le sue riflessioni, la giovane offre uno sguardo sulla sua terra natia. «Il Marocco, per esempio, ha una lunga tradizione di convivenza tra culture, religioni e popoli diversi – spiega –. Io ho origini sia arabe sia berbere. Ecco, in questo senso, penso che vivere in un Paese con un pluralismo culturale sia un punto di forza».

C’è chi poi riflette sui benefici di cui gli studenti stranieri potrebbero godere, se avessero la cittadinanza: «Molti potrebbero usufruire delle agevolazioni che, per esempio, le università offrono», riflette Emanuela Uhxi, 19 anni, dall’Albania. «Vantaggi che farebbero la differenza nella vita dei ragazzi e delle loro famiglie». Si pensi alla possibilità di fare tirocini all’estero, Erasmus o all’ipotesi di ottenere una borsa di studio.

Non solo italiani: europei
La questione del referendum ha mosso riflessioni anche sul tema della cittadinanza europea. Tra chi sogna un’Unione sempre più solida e chi si è abbandonato all’indifferenza.
«Vedo l’Europa di oggi più unita che mai», dice con sincerità Raed Mohamed, 20enne di origine egiziane e residente a Ghedi.

«Credo fermamente nel progetto europeo, nella sua prosperità e nella possibilità di un futuro migliore – continua –. Essere cittadino europeo per me significa essere partecipe di una grande realtà unita».
Per Sabrina Zardoub, 27enne di Nave, invece, molti interrogativi e poche certezze: «Percepisco l’Ue come una realtà molto più disunita rispetto a come si racconta», confida la giovane di origine tunisine. «A parole si parla di unione, ma nei fatti vediamo continuamente muri alzati. Ogni volta che si parla di diritti e di cittadinanza ci si scontra più che unirsi. Quindi no, non mi sento di dire che l’Europa di oggi sia davvero unita».

Come Sabrina, anche Joel Kessie, 19 anni dal Ghana, è sulla stessa linea di pensieri: «Essere cittadino europeo certamente vuol dire godere di diritti che rispettano la mia persona e la mia dignità – chiarisce –. Tuttavia, ritengo che il progetto europeo interessi soltanto una piccola fascia di determinati Paesi. Motivo per cui non sono così tanto fiducioso sull’Europa e il suo futuro».

Le critiche
Tra le critiche maggiori mosse dall’opinione pubblica, quella per cui riducendo i tempi di attesa, si rischierebbe di concedere la cittadinanza a chiunque. È davvero così?
«Dimezzare gli anni non significa concederla a tutti, bensì riconoscere prima ciò che è già evidente nella vita di chi vive qui», chiarisce Alishah Siddique, 19 anni, di Ospitaletto. «Nella maggior parte dei Paesi europei i tempi di attesa sono minori rispetto all’Italia e non c’è mai stata alcuna ondata incontrollata di nuove cittadinanze». Siddique ha origini pakistane ed è arrivata nel Bresciano a soli 6 anni. Il suo desiderio è vedere i suoi compaesani diventare italiani dopo 5 anni, lei che la cittadinanza l’ha acquisita dopo 11 lunghi anni. «Chi trascorre cinque anni in Italia, studia, lavora e rispetta le leggi ha già dimostrato di essere parte integrante della comunità».

L’Italia è uno dei pochi Stati Ue con i criteri più severi per il riconoscimento della cittadinanza. Oltre al requisito della residenza legale continuativa e ininterrotta, è necessario dimostrare: capacità reddituale, conoscenza della lingua italiana e assenza di condanne penali. Approvare il referendum significherebbe ottenere, per molti dei ragazzi interpellati, un allineamento dell’Italia agli standard europei. «Anticiparne il riconoscimento giuridico significa mandare un messaggio di fiducia e speranza – continua la giovane –. È un atto di giustizia, non di leggerezza».
C’è infine chi si sente fortunato ad essere italiano ed europeo. Ma sulla critica che il referendum faciliterebbe l’ingresso di nuove cittadinanze non è d’accordo.

«Essendo stata adottata da una coppia italiana, ho fin da subito acquisito la cittadinanza. E mi ritengo molto fortunata per questo – confida Ehetnesh Biasca, 28 anni, origini etiopi, che non può però dire lo stesso dei suoi coetanei –. I tempi più ridotti per la concessione della cittadinanza, a mio avviso, non andrebbero a determinare alcun rischio soprattutto perché cinque anni di vita stabile in un Paese mi sembrano sufficienti per poter godere del diritto di cittadinanza».
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