‘Ndrangheta a Brescia, suor Anna Donelli respinge le accuse
È durato due ore e mezza l'interrogatorio di garanzia davanti al Gip di Brescia di suor Anna Donelli, la religiosa arrestata una settimana fa e agli arresti domiciliari con l’accusa di concorso esterno in associazione a delinquere di stampo mafioso per i presunti legami con la famiglia Tripodi, ritenuta ai vertici di un clan della ‘ndrangheta radicato sul territorio bresciano.
La suora, che opera da anni come volontaria in carcere, ha respinto le accuse. Il suo legale ha chiesto la revoca degli arresti domiciliari. La decisione del Gip è attesa settimana prossima.
L’avvocato: «Chiamata in causa da millanterie dei Tripodi»
«Ha risposto a tutte le domande – ha detto al termine dell’interrogatorio il suo difensore, l’avvocato Robert Ranieli – e spiegato il contenuto delle intercettazioni finite agli atti. Ha radicalmente negato tutto. A parlare peraltro non è lei. È stata chiamata in causa da millanterie dei Tripodi».
Tra gli elementi di prova valorizzati dalla Dda bresciana un’intercettazione ambientale che dà la religiosa nell’azienda di padre e figlio ritenuti a carico della «locale» di Flero della ‘Ndrangheta. «Suor Donelli ha spiegato anche quella – ha detto il suo difensore – a Flero, nell’officina dei Tripodi, ci era stata in un periodo in cui lavorava e viveva in una comunità in provincia di Brescia e ci era arrivata perché aveva conosciuto Tripodi figlio a San Vittore durante un periodo di detenzione».
Suor Anna avrebbe chiarito il contenuto anche dell’intercettazione ambientale nella quale, dialogando con i Tripodi, sostiene di aver tranquillizzato una nipote rimasta coinvolta in un incidente stradale assicurando alla parente di avere «amici potenti» e la soluzione per lei. «Suor Anna voleva solo un chiarimento circa una contravvenzione presa dalla nipote – ha spiegato l’avvocato Ranieli – ed era andata a chiederla in quell’officina sapendo di trovare a chi poteva intendersene». Quanto al ruolo di messaggera suor Anna avrebbe inoltre spiegato che la sua era un’opera caritatevole. «A tutte le centinaia di detenuti che ha incontrato nella sua vita – ha detto il difensore - ha portato solo messaggi umanitari. Un po’ di calore e vicinanza ai detenuti da parte di mamme, papà, fratelli, figli e mogli. Proprio per questo noi a Milano la chiamiamo l’angelo degli ultimi».
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