Bozzoli sarà interrogato in settimana: presto vedrà la famiglia
Non ha l'asso nella manica e nemmeno il colpo a sorpresa. Anche perché la condanna definitiva è datata primo luglio e quindi Giacomo Bozzoli, dopo la fine della latitanza e l'arresto mentre era nascosto nel cassettone del letto matrimoniale della sua villa a Soiano del lago, si aggrappa ad elementi già emersi durante tutti i processi e fin qui bocciati dai giudici che lo hanno ritenuto l'assassino dello zio Mario, gettato nel forno della fonderia di Marcheno nel Bresciano l'8 ottobre 2015.
Quando Giacomo Bozzoli al procuratore capo Francesco Prete, incontrato dopo l'arresto di giovedì scorso, dice «vi ho inviato un memoriale in cui vi chiedo di interrogare un testimone austriaco che mi scagiona», altro non fa che riprendere un tema affrontato più volte nel corso dei primi due gradi giudizio.
I contanti
Ovvero i soldi - 4.400 euro in contanti - trovati a casa di Giuseppe Ghirardini, l'operaio addetto al forno della fonderia la sera della scomparsa di Mario Bozzoli, svanito nel nulla sei giorni dopo il suo datore di lavoro e trovato morto suicida con un'esca al cianuro nello stomaco. Secondo i giudici, soprattutto quelli della Corte d'appello, quei soldi sarebbero un anticipo per commettere l'omicidio che Giacomo Bozzoli avrebbe dato a Giuseppe Ghirardini ritenuto responsabile di omicidio in concorso, ma morto e quindi mai finito a processo.
Va identificato «nell'area familiare di Bozzoli Adelio il soggetto per conto (e in favore) del quale Ghirardini, ricevuta quella somma in contanti, avrebbe compiuto il delitto introducendo il corpo di Mario Bozzoli nel forno grande» scrive la Corte d'appello che ricorda i rapporti personali e telefonici che Giacomo Bozzoli aveva con soggetti austriaci.
La testimon
eTra cui anche la testimone oggi chiamata in causa dal 39enne condannato all'ergastolo. Una donna, rappresentante di un'azienda austriaca di metalli ferrosi, che potrebbe essere utile a Bozzoli per smentire il fatto che sia stata lei a portare il denaro dall'Austria che Giacomo ha utilizzato per pagare l'operaio. Una situazione già emersa nei processi che non ha cambiato il quadro accusatorio nei confronti del bresciano, condannato all'ergastolo per l'omicidio dello zio Mario.
Fu proprio Giacomo Bozzoli nel corso del processo di primo grado a riferire che in tre telefonate tra maggio e giugno 2015 ad altrettante utenze austriache lui parlava con la rappresentante di un'azienda di metalli ferrosi per questioni di lavoro e che mai ha avuto da lei quei denari. Già la difesa aveva sostenuto che mai sui quei soldi provenienti dalla banca austriaca sono state ritrovate le impronte dell'imputato oggi condannato. Per i giudici gli atti «allontanano - si legge - l'ipotesi di un immediato, diretto e personale procacciamento della somma di denaro da parte di Ghirardini che mai è andato in Austria e che non aveva rapporti diretti con soggetti austriaci».
Nel frattempo in settimana la Procura interrogherà Bozzoli sulla latitanza di undici giorni mentre lui aspetta anche di vedere la compagna e il figlio che andranno in vista a Bollate, dove il bresciano è stato trasferito non senza generare polemiche. Come sottolinea un detenuto che ha inviato una lettera ai quotidiani locali: «Per poter arrivare a Bollate i detenuti condannati devono seguire uno specifico programma trattamentale. Noi detenuti lo consideriamo un hotel. Ora è il momento di dire basta. Esistono detenuti di serie A, di serie B e anche di serie C».
E oltre a Bozzoli viene citato anche Chico Forti «che in tempo zero è riuscito ad andare a trovare la madre. Bozzoli dopo aver ucciso lo zio - perché così dice la sentenza definitiva - sembra lui la vittima e per paura di un suicidio lo trasferiscono a Bollate alla faccia dei detenuti morti suicidi quest'anno»
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