Bonus e assegni, ma per fare figli non servono (solo) i soldi: se avessimo più servizi e strutture?
Sono certamente un aiuto, fondamentali per far tornare i conti alla fine del mese. Ma non sono e non possono essere la risposta definitiva al trend (ormai costante) della denatalità nel nostro Paese. Bonus nidi, assegno universale e ora bonus mamme sono misure su cui le famiglie contano per far fronte alle spese, ma difficilmente possono essere considerati incentivi per avere figli.
Il tema del sostentamento economico è centrale, tuttavia non sufficiente. Servono strutture, lo abbiamo detto più volte, a cominciare dagli asili nido: i posti disponibili sono pochi e molto costosi, siamo lontani a livello di sistema Paese dagli standard europei e le promesse legate al Pnrr saranno con molta probabilità disattese. Nella lunga maratona che è la crescita di un figlio, il nido è dunque il primo ostacolo. Chi resiste, cioè chi non lascia il lavoro per accudire il bebè, può contare sul bonus che copre una parte della retta mensile (in genere comunque meno della metà) e, con un po’ di sforzo, farsi coraggio ripetendosi che in fin dei conti la frequenza massima è di un paio d’anni. Due anni in cui, però, potrebbe essere necessario integrare la spesa del nido con una o un babysitter, perché gli orari dell’asilo - quelli pubblici per la maggior parte arrivano a metà pomeriggio, i privati, più costosi, allungano un po’ - mal si conciliano con la maggior parte dei turni lavorativi dei genitori. Insomma, una doppia spesa.
Arrivati fin qua, se nessuno dei due genitori ha lasciato il lavoro, si può ricominciare a respirare, con la sensazione di essere sopravvissuti ai primi e più costosi anni. Ora si passa alla scuola dell’infanzia, che richiede una spesa nettamente inferiore rispetto al nido (il bonus ovviamente non c’è più). Ma, ancora una volta, il tema per una famiglia in cui entrambi i genitori hanno un’occupazione è a chi affidare i figli da quando l’asilo chiude a quando si torna dal lavoro. Se i nonni - pure loro sempre più spesso ancora al lavoro, lontani dalla pensione - non sono disponibili, si ripropone il costo della babysitter. Crescendo, la situazione peggiora, perché alla primaria non è scontato che i bambini restino tutti i giorni a scuola almeno fino alle 16, anzi: i rientri pomeridiani sono spesso solo due o al massimo tre. Per non dire delle scuole medie, che in genere terminano alle 13 o alle 14. E non pensiamo ai tre mesi estivi di chiusura delle scuole. Se i genitori lavorano, con chi stanno i bambini?
L’assegno universale è un aiuto di qualche centinaia di euro fondamentale per la maggior parte delle famiglie. Meglio di niente.
Ma se invece che sui bonus - eterni? mah - i genitori potessero contare su scuole aperte dalla mattina alla sera in cui lasciare i figli? Scuole in cui fare lezione al mattino e altre attività il pomeriggio? Luoghi sicuri per poter andare a lavorare - entrambi - con serenità? Sarebbe una riforma strutturale, forse più efficace per incrementare l’occupazione femminile e la natalità, sicuramente coraggiosa.
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