Bonifica Caffaro e altri siti contaminati: il workshop a Brescia

Paola Gregorio
Dal 12 al 14 febbraio, alla facoltà di Ingegneria dell’Università degli Studi di Brescia, si terrà il workshop itinerante SiCon – Siti contaminati
Uno scorcio interno della Sin Caffaro - © www.giornaledibrescia.it
Uno scorcio interno della Sin Caffaro - © www.giornaledibrescia.it
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Si parlerà di risanamento di siti contaminati con esperti da tutta l’Italia. Non a caso Brescia, che con la Caffaro è un caso di studio a livello nazionale, è una delle sedi, con Taormina e Roma, del workshop itinerante SiCon – Siti contaminati: dal 12 al 14 febbraio la nostra città ospiterà la sedicesima edizione alla facoltà di Ingegneria dell’Università degli Studi di Brescia.

Confronto e aggiornamento

I gruppi di Ingegneria sanitaria-ambientale della Statale e degli atenei di Catania e La Sapienza di Roma sono i promotori. È un’occasione unica di confronto e di aggiornamento, come ha spiegato uno dei coordinatori della nostra università, Carlo Collivignarelli, perché si offrirà una panoramica completa dei progressi nel campo delle bonifiche e saranno presentati settanta casi di studio di risanamento fatto o in corso, tra cui la Caffaro. L’ultimo giorno, il 14 febbraio, è in programma una visita tecnica sul campo proprio al Sin Brescia - Caffaro, con focus sul campo Calvesi e al Parco della Resistenza in via Livorno.

Campo sperimentale

Proprio i siti di interesse nazionale, ha detto Federico Vagliasindi dell’Università di Catania, un altro dei coordinatori, «fanno da traino al settore e alla sperimentazione delle tecnologie più innovative e danno indicazioni su quello che è stato fatto o ancora non lo è stato». SiCon nasce proprio per studiare le tecnologie più innovative per bonificare i siti, ma ancora oggi, seppure siano stati fatti grandi passi in avanti, come sottolinea Maria Rosaria Boni, coordinatrice per La Sapienza, quello delle bonifiche è ancora un campo sperimentale, con alcuni problemi di fondo, come precisa Collivignarelli: «La scelta della tecnologia appropriata al caso specifico, che può avere varianti particolari; i costi, perché spesso la bonifica in sito non è applicabile in termini di costi-benefici; i tempi lunghi: il Cerar, fondato a Brescia, ha analizzato 25 casi di bonifiche con procedura ordinaria. Ben otto hanno richiesto otto anni con punte di sedici».

Impatto

«Anche se bisogna sempre chiedersi – prosegue il professore – quanti siano i costi del non bonificare in termini di impatto sulla salute, sull’ambiente ed economico sul costruito, ovvero edifici e attività commerciali che si trovano nelle vicinanze di un sito contaminato. Vengono depauperati e perdono di valore. Inoltre c’è un rapporto tra bonifiche e consumo di suolo: i programmi di bonifica contribuiscono al contenimento del consumo». Ad oggi per il Sin Caffaro e la sua bonifica, riassume Susy Canti, dirigente del Comune di Brescia, sono stati spesi 26 milioni di euro dal Ministero, 7 milioni e 200 mila euro con fondi Pnrr, oltre 14 milioni dalla Loggia. Il 2025 è l’anno del via alla bonifica del sito industriale: è iniziata la caratterizzazione dei rifiuti.

Interrogativi

Ci si chiede, se i risanamenti fatti finora nel Sin Caffaro - che principalmente hanno tolto terra contaminata per portarla altrove – non rappresentino una mancata occasione per sviluppare tecniche di bonifica in situ. Canti risponde: «Non è che non sia stata valutata questa possibilità, ma purtroppo per la tipologia di contaminanti è difficile trovare tecniche in sito sostenibili dal punto di vista economico. Nel Pob c’è un capitolo che analizza costi e benefici di utilizzo di una tecnica piuttosto che di un’altra. È risultato che è più conveniente conferire esternamente, anche mandando al recupero. Nel sito industriale il materiale non conforme sarà trattato in loco e messo in sicurezza permanente all’interno del sito in un luogo idoneo».

Giorgio Bertanza, docente di Ingegneria sanitaria ambientale alla Statale, aggiunge: «Il mondo della ricerca e delle imprese sta  studiando metodi più avanzati per ripulire terreni e siti contaminati. Se ci fossero soluzioni applicabili a costi convenienti si utilizzerebbero». In ogni caso, conclude Collivignarelli, «se magari all’inizio di fronte all’emergenza è stato usato il criterio dell’asportazione, ora altri terreni sono mandati al recupero. E quindici anni fa le conoscenze non erano quelle di oggi. Si sono fatti passi in avanti ma bisogna fare i conti con la realtà».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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