Bambino morto in Egitto, l'autopsia smentisce il tumore al cervello

Un’emorragia causata da un aneurisma cerebrale è la causa della morte di Mattia Cossettini. Secondo i genitori vi è stata una sottovalutazione del quadro clinico iniziale
Mattia Cossettini - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Mattia Cossettini - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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«Nessun tumore al cervello e nessuna infezione da polmonite batterica, Mattia è morto per un'emorragia causata da un aneurisma cerebrale». A comunicarlo in una nota stampa è l'avvocato della famiglia Cosettini, Maria Virginia Maccar.

Sono stati resi noti gli esiti dell’autopsia effettuata su Mattia Cossettini, il bambino friulano di 9 anni mancato improvvisamente mentre si trovava in vacanza con la famiglia (il papà Marco lavora da tanti anni alla Copan di Brescia) a Marsa Alam, il 6 gennaio. E stando a quanto emerso dall'esame autoptico quanto sostenuto dalla Direzione Sanitaria del Mar Rosso non corrisponderebbe al vero.

Si escluderebbe con certezza la presenza di altre patologie concomitanti. Questo quanto emerge dopo l'esame effettuato dall'Azienda Ospedaliero Universitaria di Udine.

«Mattia era felicissimo della vacanza e fino a quella tragica escursione in barca non aveva manifestato alcun sintomo, nemmeno un raffreddore – prosegue la famiglia –. Tanti sorrisi fino all’ultimo momento, allegro come tutti lo conoscevano, ma durante l’escursione non c’è stata nessuna possibilità di chiamare o di ricevere i soccorsi».

Secondo i genitori vi è stata sicuramente una sottovalutazione del quadro clinico iniziale; ci sarebbe poi stato «un errore di refertazione da parte dei medici dell’ospedale generale governativo di Marsa Alam, che hanno interpretato la TC senza intervenire poi su Mattia per l’assenza di attrezzature, tenuto solamente in osservazione mentre i sanitari stimavano le più svariate patologie, dal diabete alla broncopolmonite, citando addirittura il Covid come causa di un’ossigenazione bassa quando invece Mattia non aveva neanche la tosse – si legge nel comunicato diramato dall'avvocato di famiglia –. Rimasto invece su una lettiga di ospedale, con il cuscino della camera del resort, mentre i genitori tentavano invano un trasferimento in un altro ospedale».

Favorire protocolli per le emergenze sanitarie

La famiglia sta ancora approfondendo gli aspetti relativi all’incidenza di una corretta e tempestiva diagnosi, «ma quello che emerge è la necessità di sensibilizzare il Governo egiziano per favorire protocolli nella gestione delle emergenze sanitarie nella zona del Mar Rosso. Il primo ospedale attrezzato è situato a circa tre ore di auto e non sono disponibili mezzi di trasporto rapidi per raggiungerlo. Probabilmente sarebbe sufficiente un piccolo contributo economico da parte delle numerosissime strutture alberghiere per garantire un servizio sanitario adeguato, oppure realizzare un eliporto per trasferire i pazienti gravi, raggiungendo un luogo idoneo».

Nella nota, oltre al caso di Mattia, viene fatto un discorso più generale proprio sui problemi della zona. «Si stima la presenza di circa quindici milioni di italiani in Egitto ogni anno, di cui un terzo circa nella zona del Mar Rosso – spiega l'avvocato –. Nonostante tutte le immersioni subacquee effettuate in zona, anche una “semplice” embolia polmonare diventerebbe critica a causa dell’assenza nelle vicinanze di una camera iperbarica».

«In alcune situazioni potrebbe fare la differenza anche la refertazione a distanza, facilmente possibile con l’utilizzo della telemedicina e nel caso di Mattia si sarebbe molto probabilmente evitata l'errata interpretazione delle immagini della TC, fatto che ha di certo avuto un peso psicologico importante sui genitori».

Non è chiaro se il tempo perso, dai primi sintomi «interpretati in modo superficiale dai medici, all’incapacità di intervenire in modo attivo presso l’ospedale di Marsa Alam», potesse cambiare l’esito della vicenda.

«È però evidente come – conclude il legale – qualsiasi necessità sanitaria improvvisa, che possa essere clinicamente complessa ma che nel nostro contesto sociale risulti gestibile, le possibilità di sopravvivenza in una zona così turistica e famosa siano sorprendentemente scarse».

I genitori di Mattia, Marco e Alessandra, si augurano che la morte di loro figlio possa servire ad avviare questo adeguamento sanitario in Egitto per il bene di tutti gli altri turisti italiani, «non consapevoli della situazione fatiscente che potrebbero scoprire appena varcate le mura dei lussuosi resort».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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