Gli artigiani sono sempre meno, ma piacciono i pezzi unici e green

In dieci anni secondo la Cgia hanno chiuso 8.735 imprese in provincia di Brescia. Dopo il lockdown però è emerso un interesse dei giovani che sta facendo tendenza
In dieci anni il Bresciano ha perso 9mila artigiani
In dieci anni il Bresciano ha perso 9mila artigiani
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I computer e l’intelligenza artificiale ci sostituiranno? Se c’è il rischio per certi settori di veder ridotti i posti di lavoro, per certe professionalità – ed è certo – è impossibile. Alcuni saper fare sono insostituibili. Tra questi tutto ciò che ha a che fare con la creatività e il lavoro, antichissimo, dell’artigiano. Un abito lo può creare una macchina, certo, ma tutto ciò che ruota attorno alla personalizzazione, dalle misure ai dettagli, no; lo stesso si può dire per un violino di un certo livello, un centrotavola o un tavolo, pezzi unici su richiesta o un armadio adatto solo a quell’angolo di quella casa. E così via.

I dati

Secondo un recente studio di Altagamma in Italia mancano più di 200mila artigiani specializzati. E, infatti, il numero è in continua discesa: dal 2012 se ne sono persi 325mila (-17,4%) e solo nel 2021 (subito dopo il lockdown) la curva è stata in crescita, seppur di poco.

Insomma non c’è più il passaggio del mestiere da padre in figlio e le città cambiano volto con la diminuzione di chi «sa fare» (secondo Inps nel 2022 si contavano 1.542.2991 artigiani), ma non tutti i mestieri sono uguali: se diminuiscono calzolai, corniciai, fabbri, falegnami, fotografi, lavasecco, orologiai, pellettieri, riparatori di elettrodomestici e tv, sarti, tappezzieri, crescono quelli del benessere (acconciatori, estetisti e tatuatori) e dell’informatica (sistemisti, addetti al web marketing, video maker e esperti in social media). Numeri che non colmano la differenza tra chiusure e aperture.

Le cause

Le cause secondo la Cgia, l’associazione Artigiani e Piccole Imprese di Mestre, sono tante e vanno dall’aumento dell’età media, insufficiente ricambio generazionale, concorrenza della grande distribuzione, il boom del costo degli affitti, delle tasse e il cambio di abitudini dei consumatori in termini di modalità di acquisto: «Da qualche decennio hanno sposato la cultura dell’usa e getta, preferiscono il prodotto fatto in serie e consegnato a domicilio».

È sempre più forte la difficoltà a trovare autisti, autoriparatori, sarti, pasticceri, fornai, parrucchieri, idraulici, manutentori o verniciatori e, secondo Altagamma, il primo nodo da sciogliere è sistema scolastico: al termine della scuola secondaria solo 10mila studenti italiani scelgono istituti tecnici, in Germania sono 880mila, in Francia 240mila.

Le città

Nell’ultimo decennio, conclude lo studio della Cgia, sono state Vercelli e Teramo le province che hanno registrato la variazione negativa più elevata d’Italia (-27,2%), hanno retto meglio Trieste (-3,2), Napoli (-2,7) e Bolzano (-2,3%). In termini assoluti le province che hanno registrato le perdite più importanti sono state Bergamo (-8.441 artigiani in 10 anni), Verona (-8.891), Roma (-8.988), Milano (-15.991) e Torino (-18.075). Brescia non se la passa bene ed è inserita proprio in questo ultimo gruppo con 8.735 imprese perse in 10 anni: nel 2012 le imprese erano 51.224 e nel 2022 42.489. Secondo Camera di Commercio il 2023 si è chiuso con 117.203 imprese registrate all’anagrafe camerale delle quali 32.193 artigiane; 2.191 sono state le nuove aperture (-1,7 rispetto al 2022) e 3.220 le cessazioni con un tasso di crescita negativo pari al -3,1%. I servizi di supporto alle imprese è l’unico settore che è cresciuto (1,5%).

La spinta dei giovani

I numeri dipingono una situazione nera, ma ci sono ancora giovani che scelgono di essere (o di reinventarsi) artigiani, ed è successo soprattutto dopo il lockdown, ne sono testimonianza i makers hub (come il Mo.Ca), luoghi che promuovono l’imprenditorialità di giovani artigiani, designer o stilisti, o i tanti mercatini che le città accolgono in ogni stagione.

Se poi questo permetterà a tutti di vivere è ancora da provare, ma qualcosa si muove in questo senso. Dopo il Covid sta fiorendo, infatti, una nuova attenzione al pezzo unico, personalizzato, di alta qualità e di materiali naturali e meno inquinanti, ecco che qui entra in gioco l’artigiano. Sta prendendo piede una sensibilità diversa: si compra meno, ma di qualità; si guarda al fatto a mano, al locale e al chilometro zero. Ed ecco che i social aiutano gli artigiani che propongono pochi capi, o pezzi, personalizzabili.

Per questo sono nati anche siti che raccolgono gli artigiani, come Etsy, con vetrine virtuali dove il fatto a mano e l’unicità sono le caratteristiche principali. Si parla di «Craftcore», tendenza che riporta l’artigianato e i materiali naturali nelle case e negli armadi. Si mette l’abilità manuale al centro insieme a filiera corta, tessuti riciclati, o scartati, e responsabilità. E questo a fronte di un lavoro autonomo che aiuta a conciliare i tempi di vita e mestiere. La sfida è lanciata, ecco alcune storie. 

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