Arrestata in Iran Cecilia Sala, il governo insiste: «La porteremo a casa»
Da otto giorni Cecilia Sala è in una cella del famigerato carcere di Evin, a Teheran, in isolamento ma per fortuna «in buone condizioni di salute». Dell’arresto in Iran della giornalista di Chora Media e del Foglio si è saputo solo ieri, quando ormai il riserbo non era più sostenibile, con familiari e colleghi sempre più in apprensione e il governo che, da Palazzo Chigi alla Farnesina, è «al lavoro per riportarla in Italia al più presto».
Il racconto
A raccontare come sono andate le cose, una volta che la vicenda è venuta alla luce, sono stati proprio i suoi colleghi: «Cecilia era partita il 12 dicembre da Roma per l’Iran con un regolare visto giornalistico. Aveva fatto una serie di interviste e realizzato tre puntate del suo Stories», spiega una nota di Chora News, la seguitissima piattaforma di podcast diretta da Mario Calabresi.
La reporter «sarebbe dovuta rientrare a Roma il 20 dicembre, ma la mattina del 19, dopo uno scambio di messaggi, il suo telefono è diventato muto». Un silenzio che allarma la redazione: Cecilia Sala è sempre stata puntuale nel suo lavoro, «anche dal fronte ucraino nei momenti più difficili», spiegano i colleghi che con il suo compagno, il giornalista del Post Daniele Raineri, decidono allora di allertare l’Unità di Crisi della Farnesina. Nessuno tra i suoi contatti in Iran sa dove sia finita, e il giorno dopo Sala non è tra i passeggeri del volo che doveva riportarla in Italia. «Poche ore più tardi il suo telefono si è riacceso» e Cecilia ha potuto fare due telefonate, una alla madre e una al compagno.
«Ha detto di stare bene e di non essere ferita. È possibile - ricostruisce Il Post - che abbia dovuto leggere un testo scritto, perché ha usato alcune espressioni che non suonano naturali in italiano, ma sembrano più una traduzione dall’inglese. Non le è stato permesso di aggiungere altro». Giovedì la giornalista ha potuto fare una nuova telefonata ai genitori, e solo 8 giorni dopo l’arresto ha potuto ricevere la visita dell’ambasciatrice italiana a Teheran, Paola Amadei, che le ha portato vestiti, cibo e libri: è stata con lei per mezz’ora trovandola, tutto sommato, in buone condizioni di salute. Del motivo del suo arresto o dei capi di imputazione non si sa ancora nulla, ha spiegato il ministro Tajani, chiedendo comunque di mantenere la riservatezza sul caso per non ostacolare i contatti diplomatici. «Non abbiamo notizie ulteriori, vedremo nei prossimi giorni. Ora l’importante è che stia bene, è detenuta in una situazione tranquilla, da sola in una cella», ha aggiunto.
Il governo
«Non possiamo dire altro, ma stiamo lavorando in maniera molto intensa», ha assicurato il ministro. Prima di essere arrestata, Sala, appassionata conoscitrice dell’Iran, aveva raccontato nel suo podcast storie sul patriarcato nel Paese e sulla comica iraniana Zeinab Musavi, arrestata dal regime per gli sketch di uno dei suoi personaggi. Aveva parlato anche con Hossein Kanaani, uno dei fondatori delle Guardie rivoluzionarie che per quasi mezzo secolo aveva contribuito a creare l’estesa rete di milizie filo-iraniane operanti in mezzo Medio Oriente. Sala «si trovava in Iran per fare il suo lavoro con lo scrupolo, la cura, la passione e la professionalità che tutti le riconoscono», sottolinea ancora Chora Media.
«La sua voce libera è stata silenziata, l’Italia e l’Europa non possono tollerare questo arresto arbitrario. Cecilia Sala deve essere liberata subito», è l’appello dei suoi colleghi e amici. La vicenda ha suscitato l’indignazione e la solidarietà della politica, delle ong per i diritti umani e del mondo del giornalismo, non solo italiano. #FreeCecilia è l’hashtag che sta già facendo il giro del web.
Il nesso
Rimbalza nelle discussioni il timore che il fermo della giornalista possa essere in qualche modo legato all’arresto di un cittadino iraniano all’aeroporto milanese di Malpensa e in attesa di estradizione negli Usa. Un nesso che, è la preoccupazione tra i parlamentari, complicherebbe la partita. Il governo «sta lavorando con la massima discrezione per cercare di riportarla a casa», dice il ministro degli Esteri Antonio Tajani mentre il collega della Difesa Guido Crosetto assicura che si seguirà «ogni strada». Ma occorre «il massimo riserbo», il leitmotiv ripetuto a Palazzo Chigi, dove qualcuno ha accolto come note stonate alcune dichiarazioni di «Pd e M5s», comprese le richieste al governo di riferire. «Politicizzare» la vicenda, è il ragionamento, rischierebbe solo di «mettere in pericolo Sala».
Il racconto di Mario Calabresi
«Dalla mattina di giovedì, da quando abbiamo perso le sue tracce, ci siamo uniti tutti con un unico obiettivo: portare Cecilia a casa al più presto». Lo spiega il direttore di Chora Media e giornalista Mario Calabresi in un'intervista al Corriere della Sera, dopo l'incarcerazione in Iran della giornalista Cecilia Sala.
«Questo era un viaggio a cui Cecilia teneva molto. Era tanto tempo che aveva chiesto il visto», prosegue Calabresi che sottolinea come la giornalista fosse stata come sempre «scrupolosa, seria, che studia. Erano già uscite tre puntate della serie Stories, il podcast che conduce per Chora. Poi, giovedì, la nostra collega Francesca Milano mi ha chiamato e mi ha detto “non è arrivata la registrazione di Sala"». «Otto giorni dopo ancora non sappiamo, siamo in assenza di un'accusa formalizzata e quindi, inizialmente, la speranza era che questa cosa si potesse risolvere in fretta, motivo per cui siamo rimasti una settimana in silenzio», spiega ancora.
Non è la prima volta che Calabresi si trova in situazioni d'angoscia, da direttore. «Negli anni ho visto diverse storie di questo tipo. Quando ero direttore de La Stampa, il mio giornalista Domenico Quirico è stato rapito in Siria. Una cosa buona dell'Italia è che non lascia mai soli i suoi cittadini - conclude -. Altri Paesi hanno altre logiche. Io so che l'Italia non lascerà nemmeno Cecilia».
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