«L’Albania non è un Paese sicuro»: concesso lo status di rifugiata

Un provvedimento che alimenta lo scontro. Su un tema passato in secondo piano solo negli ultimi giorni. Fino a prima dell’avviso di garanzia a Giorgia Meloni per il caso del rimpatrio del Comandante della prigione libica di Mittiga, Osama Njeem Almasri, a dividere Governo e magistratura era anche e soprattutto l’Albania. «Un paese sicuro» ha sancito il Governo in un decreto legge voluto per cercare di mantenere operativi i centri per migranti a Gjader che invece fin qui la magistratura ha bocciato. In attesa di un nuovo pronunciamento atteso in questi giorni dopo il trasferimento di un nuovo gruppo di migranti.
La sentenza
Sul concetto di Albania «paese sicuro» non la pensa così la sezione immigrazione del tribunale di Brescia che ha riconosciuto lo status di rifugiata ad una 30enne di Durazzo che il padre aveva venduto ad un trafficante che la portò poi in Italia costringendola a prostituirsi. «È innegabile – scrive il collegio presieduto da Mariarosa Pipponzi – che se la donna facesse ritorno in Albania si ristabilirebbe in uno Stato ove potrebbe essere facilmente rintracciata e vittima del fenomeno di re-trafficking, ben potendo ricadere nella medesima forma di sfruttamento».
Sfruttamento sessuale
Nel provvedimento che accoglie la richiesta dell’avvocato Stefano Afrune, legale della donna, i giudici bresciani aggiungono: «L’Albania è considerata un paese di origine, transito e destinazione per uomini, donne e bambini sottoposti alla tratta per sfruttamento sessuale e sfruttamento lavorativo. Le donne albanesi e i bambini – si legge – sono sottoposti allo sfruttamento sessuale e lavorativo all’interno del paese, specialmente durante la stagione turistica. I trafficanti usano false promesse come matrimoni o lavoro per obbligare le vittime allo sfruttamento ed è molto diffuso anche l’uso dei social per il reclutamento delle vittime».
Resta in Italia
E così la 30enne, «arrivata in Italia da minorenne e nonostante un iniziale trascorso burrascoso, dettato da cattive influenze e conoscenze sbagliate, risulta allo stato, affrancata dal contesto della tratta», non può essere espulsa e rimandata in Albania dove secondo i giudici bresciani «le autorità non investono molte energie nell’identificazione delle vittime di tratta nella prostituzione così come gli ispettori del lavoro non hanno adeguata formazione per identificare le vittime di lavori forzati».
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