A Brescia sono solo 18 i detenuti che lavorano fuori dal carcere
Oggi è un lusso per pochi. Diciotto per l’esattezza. Sono infatti 16 i detenuti di Verziano e due di Canton Mombello che oggi possono usufruire del lavoro esterno, su una popolazione carceraria di quasi 500 persone.
Parliamo di una percentuale troppo bassa, che non arriva al 4%. «L’articolo 21 è uno dei primi passaggi verso il reintegro in società. È una misura che va incentivata» commenta la presidente del tribunale di Sorveglianza di Brescia Monica Cali. Che ammette: «Ci vuole un cambio culturale sull’esecuzione penale in Italia».
L’articolo 21, che regola appunto l’attività dei detenuti fuori dal carcere mentre ancora stanno scontando la pena definitiva, può essere concesso solo in determinate condizioni. Il detenuto deve per esempio aver già scontato un terzo o due terzi della pena in base alla tipologia del reato commesso. «È una misura semi-contenitiva e - analizza Cali - possiamo verificare la tenuta del soggetto dopo un periodo medio lungo di detenzione. Tornano a dormire in cella e quindi restano controllati, ma almeno iniziano a confrontarsi con la vita reale».
Per la presidente del tribunale di Sorveglianza - che ha competenza distrettuale e quindi anche su Bergamo, Mantova e Cremona oltre a Brescia - i detenuti possono essere un’opportunità per le aziende. «Ho raccolto le preoccupazioni dei rappresentanti di categoria per i pensionamenti che nell’arco di pochi anni potrebbe svuotare alcuni settori. Il carcere può essere un bacino di utenza importantissimo per quei lavori che gli italiani non vogliono più fare. Mi riferisco - racconta il magistrato Monica Cali - alla bassa manovalanza. Dobbiamo quindi mettere i detenuti in condizione di essere un capitale sociale utile per la collettività. La partita del lavoro fuori dal carcere non si può perdere».
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