A Brescia i lavoratori raggiungono la stabilità dopo i 30 anni
Che l’Italia non sia un Paese per giovani lo dimostra la sua stessa ossatura: le classi dirigenti, la qualità delle politiche per la famiglia, certi pregiudizi immarcescibili nel mondo del lavoro. Ma cosa significa per un ragazzo vivere davvero in una realtà non a propria misura? Più che la (cruda e reale) difficoltà a condurre una vita dignitosa, a paralizzare migliaia di giovani sembra essere soprattutto l’impossibilità – l’incapacità – di poter pensare al futuro, di stabilizzarsi, di sognare. Il premio Nobel per la Pace Shimon Peres definì la giovinezza come quella condizione in cui si hanno più sogni che ricordi. Ma senza strumenti non si hanno sogni, senza risorse non c’è futuro. Lo confermano i freddi dati, le statistiche e i sondaggi ma è soprattutto l’esperienza quotidiana di tanti a delineare uno scenario complesso – con poche eccezioni in Italia. Per un giovane bresciano la stabilità, ad esempio, arriva ben oltre i 30 anni.
Pubblico e privato
La fotografia che emerge dai dati Inps testimonia infatti una disparità notevole in termini di retribuzione annua lorda e tipo di contratto nelle tre fasce di età 20/24 anni, 25/29 e 30/34. In provincia di Brescia si contano oltre 40mila lavoratori tra i 20 e i 24 anni nel settore privato. Il 58% di essi ha un contratto a tempo indeterminato, ma guadagna in media poco più di 14mila euro all’anno. Meno di mille euro netti al mese per sbarcare il lunario. Va persino peggio nel settore pubblico, dove i dipendenti under 25 sono 1.150: solo uno su tre ha un contratto a tempo indeterminato e guadagna 13.356 euro annui. Tutti i dati (numerici, qualitativi, retributivi) appaiono in crescita man mano che ci si avvicina ai trent’anni.
Così nella fascia 25/29 anni i quasi 44mila lavoratori privati bresciani – il 74% dei quali con contratto a tempo indeterminato – hanno una retribuzione media annua di oltre 20mila euro. Un balzo di circa 6mila euro rispetto ai colleghi più giovani. La forbice si allarga ancora di più nel settore pubblico (sono 3.535 i dipendenti bresciani tra i 25 e i 29 anni, la metà dei quali con contratto stabile), dove lo stipendio sfiora i 21mila e 500 euro annui. Ancora troppo poco, per poter immaginare non solo di vivere ma anche di programmare il proprio futuro.
La soglia
Così in provincia di Brescia la soglia di normalità si raggiunge solo tra i 30 e i 34 anni: dei quasi 44mila lavoratori in aziende (la soglia più consistente in assoluto), solo il 20% è precario. E se nel privato la retribuzione media annua cresce a 23.167 euro, nel pubblico si attesta a 27.141 euro. Nella pubblica amministrazione, però, sono meno di 5mila i lavoratori bresciani tra i 30 e i 34 anni e solo il 63% ha un contratto stabile.
Menzione a parte merita la selva del lavoro in somministrazione, che vede comunque coinvolti quasi 20mila bresciani tra i 20 e i 34 anni. E come in gironi danteschi nei quali la condanna maggiore è riservata a chi è più giovane, gli stipendi diventano da fame: 10.690 euro lordi all’anno tra i 20 e i 24 anni, 11.938 euro tra i 25 e i 29 anni, 12.093 euro tra i 30 e i 34 anni.
Basta rileggere David Foster Wallace, che più di tutti ha saputo trasmettere cosa significa essere vivi nel mondo contemporaneo, per scavare nella sfiducia e nella precarietà esistenziale di una fascia tanto ampia da coinvolgere sia i millennial sia la generazione z. Qualcuno parla di immutabile gerontocrazia, capace di relegare il giovane presente in un angolo, in attesa. Altri parlano di giovani vecchi, cresciuti in ginocchio, che si sentono troppo vecchi già a 20 anni e ancor di più a trenta. E il velo scoperto del fenomeno ha già mostrato i suoi effetti psico-sociali.
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