Uno scrigno di storia e di suggestioni: la Pieve di Inzino dedicata a San Giorgio

La Pieve di origini paleocristiane che sorge a Gardone Valtrompia pare sia sorta sopra un tempio dedicato a Tullino o Tillino
San Giorgio, uno dei dipinti quattrocenteschi superstiti - © www.giornaledibrescia.it
San Giorgio, uno dei dipinti quattrocenteschi superstiti - © www.giornaledibrescia.it
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Pare sia di origine paleocristiana, la Pieve di Inzino di Gardone Val Trompia e che sia sorta sopra un tempio dedicato a Tullino o Tillino, divinità celtica a metà tra Marte e Vulcano. L'unica testimonianza della sua esistenza era qui (ora è nel Capitolium di Brescia), murata in un'ara nell'abside. Chissà, forse questa divinità era un soldato che si forgiava le armi da solo. Niente di strano, visto che era valtrumplino. E sapete qual era la sua arma preferita? La lancia. Guardacaso la prediletta anche di San Giorgio, a cui è dedicato l'edificio. Sarà un caso che il celebre martire fosse egli stesso un guerriero?

La pieve

La bianca facciata ha un portico con tre archi dalle raffinate colonne, mentre la lunetta sopra il portale quattrocentesco è stata dipinta da Floriano Feramola con una Trinità e un'Annunciazione. Il portale in bronzo, datato 2005, perfettamente inserito nel contesto di una facciata chiara con chiari affreschi, è opera dello scultore Federico Severino. All'interno si apre una chiesa a tre navate.

Sulla sinistra, di fianco all'abside, un muro posto al termine di un'absidiola romanica è decorato da un piccolo duecentesco volto di San Filastrio, vescovo di Brescia nel IV secolo ma per nulla bresciano: per alcuni era spagnolo, per altri africano. Lo mandò lì Sant'Ambrogio in persona, che rispettava Filastrio, il quale invece non piaceva ad Agostino d'Ippona, poiché lo giudicava troppo entusiasta di scovare eresie in ogni dove. Chissà quante opere coeve sono state coperte o sono scomparse nel corso dei secoli.

Si pensi che nel 1931 la chiesa era così malconcia che l'arciprete chiamò Vittorio Trainini per decorarla e restituirle un minimo di dignità e igiene. Tante pitture antiche sono andate perdute, ma non tutte. Sulla parete di sinistra dell'abside affreschi quattrocenteschi ritraggono una Madonna in trono, una santa e un povero Sant'Antonio con il maialino ai piedi. Povero soltanto perché gli hanno attaccato sopra dei faretti per illuminare l'interno. Ma il capolavoro, oltre alla gentile facciata, è, sempre sulla parete di cui sopra, San Giorgio, protettore di rocche e castelli ma anche dei campi e di chi ci lavora. Tant'è che il nome deriva dal termine greco «contadino».

Lui però era un combattente, nato in Turchia da padre persiano. Lavorava per l'imperatore Diocleziano, ma, essendosi rifiutato di fare sacrifici agli dei in quanto cristiano, subì l'orrendo martirio di essere ucciso e di resuscitare più volte, finché non fu decapitato. In questo caso il nostro San Giorgio in bianco e rosso, biondo su un destriero candido, è ritratto mentre, con coraggio e invidiabile stile, infilza il serpente-drago. Lo fa senza scomporsi, con il coraggio e con la calma dei Santi (e dei Giusti). San Giorgio sapeva bene che i draghi, quelli cattivi, si sconfiggono così, senza paura e prendendo bene la mira.

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