Se l’eleganza di un quadro risveglia la speranza
La festanza è una marcia sinfonica, ma anche un arcaico sinonimo di festa: ha in sé qualcosa di dantesco, che allude a un’educazione ancestrale, che t’impone di restare composto anche quando ti diverti, sei in vacanza, sei a spasso. sarebbe bello guardarsi intorno e trovarsi circondati da persone così: gioiose e insieme decorose. invece siamo molto lontani da tale idillio.
Vedere (e a volte persino se stessi riflessi in qualche vetrina o specchio d’acqua) andare in giro nei giorni delle ferie di massa fa venire botte di spavento e di tristezza, oltre che di calore. Ci sono quelli del genere cloni, tutti con polo, pantaloni pinocchietto (o altro tananai che dir si voglia) e scarpe da barca color vomito di alpaca o in alternativa alga fosforescente rigata del Mar degli Smargiassi. Questi sono i maschi, le femmine corrispondenti sono slinzeghe (tipo di bresaola stretta) rivestite di pellicole aderenti. E non sembrano nemmeno sudare: chissà come fanno.
La maggioranza invece consta di soggetti in flip flop, pantaloncini corti e magliette tinta unita o con disegni i più vari e disarmanti. Degni di nota i buontemponi che sfoggiano t-shirt educative con immagine di tre boccali di birra e la scritta «mai fermarsi alla terza media» oppure foto di bottiglia con la riflessione filosofica «non sono un dipendente dall’alcol, sono il titolare». Le sotto-categorie pullulano, il buon gusto latita, l’educazione, peraltro in apparenza non rimpianta da nessuno, grande assente insieme al deodorante (lui rimpianto assai).
Meglio far calare un velo pietoso sui look da spiaggia, tra improbabili tanga (ora gender-free) in preda all’imbarazzo per la situazione in cui si trovano. E tutti che sudano, te incluso. Com’era il detto? «Estate, la gentilezza tace»? O «Agosto, cortesia non ti conosco?» Deve essere qualcosa del genere. Così, oltre ad avere visioni mistiche per la canicola, si comincia a ricordare certi quadri che si sono visti.
Il quadro
Per esempio le Lavandaie di Anton Maria Mucchi, pittore parmense innamorato del Garda, opera del 1905 esposta al MuSa di Salò. Si tratta di tre signorine nude (in realtà è la triplicazione della stessa modella) che stanno strizzando e stendendo panni color pastello, appesi leggeri intorno a loro, a proteggerle e a rinfrescarle. Nessuna volgarità, non una traccia di compiacimento: solo tre Grazie che con delicatezza svolgono le loro faccende, sole e non viste.
Non è un meraviglioso simbolo dell’estate, in cui la nudità allevia il peso del lavoro, dove tutto è giovane, leggiadro e profumato come abiti e lenzuola appena lavati? Faticano e sembrano in vacanza, a differenza di gente in vacanza che pare sia in miniera. Le guardi e la moda affonda nel Mar degli Smargiassi, la sciatteria si estingue nel risvolto dei perizomi. La gentilezza e la cortesia parlano di nuovo. Rinasce la speranza, risuona la festanza.
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