Quei cavalieri del ’400 reduci della... Prima guerra mondiale

Clementina Coppini
A Pieve di Bono un affresco staccato che parla di Tempo e Guerra, opera di un anonimo pittore bresciano
Coloratissimi, i cavalieri si lanciano verso un ignoto nemico
Coloratissimi, i cavalieri si lanciano verso un ignoto nemico
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Castel Romano è a Pieve di Bono-Prezzo, paese tra il Trentino e la Valle Sabbia, e fa la guardia alla Valle del Chiese dal XII secolo. Proprietà prima degli Appiano, poi degli Arco e infine dei Lodron, Ha visto eserciti e conflitti e subito saccheggi d’ogni sorta. Occupato dai Garibaldini, all’inizio del Novecento fu trasformato in un fienile e in pratica distrutto durante la Prima guerra mondiale.

Ora è una splendente rovina, si è trasformato in un che di diverso, in un esempio riuscito di qualcosa che ha accettato le ingiurie dei secoli e le ha sublimate nella bellezza. La sua vocazione militare è visibile nelle salde pareti, seppur ingentilite dalle colonne del portico interno, e nella struttura senza copertura che, nell’adeguarsi all’orografia del luogo, ha preso la sagoma di una nave la quale, immobile, sembra solcare le montagne.

Un tempo le pareti interne erano dipinte con cicli di affreschi. E cosa rappresentavano? Di preciso non si sa, poiché sono andati perduti tutti meno uno, che raffigura una scena di battaglia.

L’opera fu commissionata nel 1452 dai sopraccitati Lodron, signori del baluardo e della valle, i quali proprio quell’anno avevano ottenuto il titolo di conti e, avendo contemporaneamente deciso di ornare Castel Romano, avevano convocato un pittore bresciano. Loro lo conoscevano, almeno di fama, ma per noi è un anonimo. La decorazione era ampia e riguardava più stanze del maniero, ma di quella che doveva essere una meraviglia rimangono soltanto questi colorati ed azzimati cavalieri che, lasciatisi l’accampamento alle spalle e incitati dai trombettieri, stanno muovendo verso il nemico, confinato nell’angolo a destra. Strano a dirsi, ma questi uomini che combattono sono reduci di una guerra che sarebbe avvenuta circa quattro secoli e mezzo dopo la loro creazione, poiché l’affresco venne staccato nel 1914 per salvarlo dai bombardamenti, di cui come sappiamo il castello rimase vittima.

L’affresco, di 2,81 per 4,29 metri, racconta le fasi iniziali dello scontro e oggi è conservato al Museo Diocesano Tridentino. È la fotografia dell’esordio della violenza. La scena è educata e compunta, ma è solo un’apparenza: per quanto i protagonisti a cavallo siano figli di un mondo cortese, il conflitto avverrà e il sangue è destinato a scorrere, come dimostra il soldato caduto che sta per finire sotto le zampe di un fiero destriero. Il dipinto è un invito a riflettere sul senso del Tempo e della Guerra. E di ciò che è senza nome: i combattenti, i cavalli e, non ultimo, l’artista che li ha immaginati.

L’anonimato potrebbe essere qualcosa di forse non voluto, di deciso appunto dal Tempo e dalla Guerra che tutto triturano. Non voluto ma infine, in questo mondo chiassoso ed egocentrico, di un silenzio confortante. «L’anonimato nel mondo degli uomini è meglio della fama in cielo» (Jack Kerouac).

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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