Le sconvolgenti mummie del Dottor Rini
Suscitano curiosità, repulsione, ammirazione. Certo non lasciano indifferenti e per osservarle bene non bisogna essere impressionabili. Sono le mummie del Gabinetto Anatomico del dottor Giovan Battista Rini, che operava all’ospedale di Salò. Sono esperimenti nati non da una perversione, bensì dall’esigenza di evidenziare le varie parti del corpo a vantaggio dei futuri medici (e pazienti). Le persone non venivano uccise apposta, si utilizzavano cadaveri (di briganti, carbonari e poveracci condannati a vario titolo).
La storia
Siamo nella prima metà dell’Ottocento (Röntgen farà la prima radiografia della storia nel 1895), ai primordi degli studi scientifici nel settore. Rini aveva bisogno di capire e far capire com’era fatto il corpo umano, quindi, con l’ausilio della chirurgia, di arsenico, mercurio e altri metalli, trattava i cadaveri in un’apposita vasca e li induriva fino a renderli sasso al fine di rendere visibili le parti che interessavano, fossero pelle, ossa oppure organi. A distanza di due secoli i reperti sono immutati, come statue. Sono pietre, forse miliari, della medicina. Gran parte del lavoro del dottor Rini, appunti inclusi, è andato perduto.
La scienza medica nei decenni successivi fece progressi incredibili e il suo lavoro fu dimenticato. Le mummie a noi giunte sono ora esposte al MuSa di Salò. Misteriose, eppure chiare nel descrivere anche al profano la struttura esterna e interna di un essere umano. Il lavoro di Rini variava a seconda della parte anatomica che voleva mettere in risalto: in alcuni soggetti si vede la testa con la pelle, in altri la gabbia toracica con gli organi interni, in altri vene e arterie (in una si distinguono, una a una, quelle del collo).
Conoscenza
Ci sono persino un cuore e una pancia contenente un feto. A noi tutto ciò pare una bizzarria, ma per chi studiava medicina a quei tempi era materiale autoptico importante per comprendere ciò che era impossibile vedere. Ancora adesso, senza tac, risonanza, radiografie, ecografie, ecc... non si procede a interventi chirurgici. Rini fu uno dei precursori, ma altri praticarono tale disciplina: eccellenza tutta italiana, dettata da un desiderio quasi leonardesco di conoscenza del dettaglio. Quello che oggi ci pare strano e ci disturba serviva a insegnare la pratica medica. E, forse per fare in modo che lo studente o il collega comprendessero che si trovavano di fronte a persone, Rini aggiungeva capelli e occhi di vetro.
Queste creature, con il loro sguardo ingenuo e perso, ci ricordano che erano vive. Sono arrivate prima delle conquiste della medicina che consentono di investigare dentro di noi senza la loro intermediazione. Eppure abbiamo bisogno di loro, di vederle esposte e indifese, ma indistruttibili. Sono lì a dimostrare che, per curare e guarire, bisogna avere l’umiltà di imparare. Sono lì per dirci che loro potevano essere noi. E viceversa.
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